A Firenze, ricordando gli sfollati di Caporetto

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    A Firenze il 4º raggruppamento, per iniziativa del presidente della sezione ANA Gian Carlo Romoli, il 27 e 28 settembre ha organizzato una delle adunate più significative dell’anno dedicato alle celebrazioni per il 90º della fine della Prima Guerra Mondiale. Presenti il presidente nazionale Corrado Perona, il consiglio direttivo quasi al completo, il Labaro con le sue 213 Medaglie d’Oro, una quarantina di vessilli e tantissimi gagliardetti, per non parlare della marea di gonfaloni civici, in larga prevalenza provenienti dai comuni friulani e veneti, preceduti da quello della città del giglio, decorato della massima onorificenza, nel famedio della Basilica di Santa Croce, alle 15,30, con l’attenti suonato da una tromba d’ordinanza e da tre strumenti storici della città ospitante, si è svolta la cerimonia in onore dei Caduti.

    Inutile sottolineare che in quel luogo, per molti sentito come una sorta di capitale morale del nostro Paese, si provava una sensazione d’indefinibile grandezza del fluire della storia patria. Eppure si era lì perché, novantuno anni prima, una fiumana di gente affamata, terrorizzata, abbandonato sotto i colpi dell’artiglieria nemica case, animali, raccolti e ogni povero bene accumulato da generazioni, andava in cerca di aiuto dai fratelli d’Italia . Era Caporetto.

    Dal 24 ottobre, con l’attacco di von Below e Kraft von Dellmensingen fra Plezzo e Tolmino, le armate austro tedesche erano arrivate in meno di un mese sul Piave. Oltre al disastro militare che tutti conosciamo si creò un esodo di proporzioni mai viste nella storia delle nostre regioni, con 600mila sfollati. E Firenze spalancò le porte e il cuore a questi diseredati, ospitando ben 223 amministrazioni comunali delle province di Belluno, Treviso, Udine e Venezia, l’amministrazione provinciale di Udine, istituti di credito e più di 40.000 sfollati, che lì rimasero per oltre un anno.

    L’accoglienza fu all’altezza della tradizionale ospitalità dei fiorentini, anche se la nostalgia degli ospiti per le terre abbandonate restò forte. Non a caso proprio in quel periodo, in terra di Toscana, nacque la più struggente delle canzoni friulane: Stelutis alpinis. Alla messa in Santa Croce è seguito un incontro del sindaco di Firenze Leonardo Domenici nel salone dei Cinquecento, a Palazzo Vecchio, con autorità, amministratori comunali ospiti e il Consiglio Direttivo Nazionale guidato dal presidente Perona.

    Lo storico Virgilio Luvisotti ha inquadrato, con ricchezza di particolari e un’esposizione avvincente, la situazione militare che, enfatizzata dalla propaganda austriaca e dalla diffidenza dei francesi e degli inglesi nei nostri confronti, fu recepita come una colossale sconfitta dell’Esercito e dell’Italia. In Francia, dov’era successo anche di peggio, al punto che le artiglierie del Kaiser arrivarono a bombardare Parigi, si parlò solo di ripiegamenti.

    Questo ovviamente nulla toglie al drammatico esodo di centinaia di migliaia di profughi che si trovarono intrappolati in giganteschi ingorghi, senz’avere la minima idea di quale sarebbe stata la loro sorte. Qui dobbiamo riconoscere che non solo l’Italia di chi comandava, ma tutti gli Italiani, per una volta uniti, seppero dare dimostrazione di coesione, capacità di reazione e soprattutto di grande spirito di accoglienza. Firenze, che pure qualche torto aveva subito da parte dei Savoia poco meno di mezzo secolo prima, quando fu capitale d’Italia, si trovò in prima linea nella gara di solidarietà verso tanta povera gente in balia di un destino pieno d’incognite.

    La maestosità di Palazzo Vecchio, con la sua storia che si respirava ad ogni angolo, conferiva una solennità quasi sacrale ad un’assemblea di amministratori e di alpini uniti nel ricordo di quel drammatico ottobre 1917. Era l’Italia reale, lontana dalle esibizioni dei potenti, che si riuniva per celebrare uno dei momenti più alti della concordia e dell’unità della nazione. Firenze rappresentava simbolicamente le altre città che avevano spalancato con fraterna generosità le porte alle popolazioni colpite da una guerra di proporzioni gigantesche.

    Gian Carlo Romoli ha ben sintetizzato nel suo intervento il significato dell’adunata di raggruppamento nella sua città e il sindaco Leonardo Domenici ha ribadito che, tra le tante pagine di storia vissute dai fiorentini, il profugato è stato una delle esperienze più vicine al sentimento di fratellanza che in Toscana, ma anche nel resto del paese, emerge nei momenti critici della storia.

    Uscendo da quel salone austero e rassicurante si sentiva di non aver partecipato ad un rituale consueto; ci accompagnava il ricordo di tanti nuclei familiari affidati alla forza e alla determinazione di donne straordinarie che, col pianto in gola e il pensiero alla sorte incerta dei loro uomini in trincea, dovettero inventarsi l’arte di vivere. I nomi non stanno scritti in alcun monumento, ma almeno un giorno di memoria c’è stato anche per loro. La sera concerto di cori nella chiesa di San Gaetano e di fanfare in piazza della Repubblica con grande partecipazione di pubblico e tanti applausi.

    La domenica mattina sfilata da piazza San Marco a piazza della Signoria. Era una Firenze inedita quella che si presentava ai sorpresi turisti che, come sempre, riempiono vie e piazze del centro. Per circa due ore fanfare, gonfaloni, vessilli e gagliardetti hanno attirato l’attenzione ammirata e divertita soprattutto dei giapponesi, che hanno esaurito le batterie dei loro apparecchi fotografici nel riprendere tutto e tutti. Gli alpini, compunti più che mai, hanno attraversato il centro storico, affascinati dai palazzi rinascimentali e soprattutto da quel miracolo di architettura che sono Santa Maria del Fiore, il Battistero e il campanile di Giotto.

    A chiusura, passaggio davanti alle tribune situate davanti a Palazzo Vecchio, gremite di autorità, sotto lo sguardo compiaciuto del presidente Perona e quello severo dei capolavori di Michelangelo e Donatello.

    Vittorio Brunello

    Pubblicato sul numero di novembre 2008 de L’Alpino.