A Como l’urna di don Gnocchi per due giorni con gli alpini

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    L’annuale celebrazione per gli alpini che si tiene ogni anno all’inizio di novembre nel Duomo di Como quest’anno ha visto la partecipazione di un ospite davvero eccezionale. La sera del 5 piazza del Duomo è gremita di alpini. L’emozione intensissima. Tutto è pronto. Gli alpini si sono preparati a fondo fino a pochi attimi prima. Ed eccoli lì schierati sul sagrato in due ali a formare un corridoio, un lungo abbraccio per accogliere l’illustre ospite. Ordinati e silenziosi, sentono la responsabilità del momento. Dall’auto scende l’urna con le spoglie del beato don Gnocchi mentre la piazza trattiene il fiato.

    Gli alpini si accostano all’urna e con inusitata delicatezza la fanno lentamente scivolare lungo il percorso. I gagliardetti si alzano al cielo in segno di saluto e deferenza. Davanti alla porta del Duomo si svolge il rito dell’accoglienza, terminato il quale l’urna riprende il suo cammino sino all’altare principale. Gli alpini entrano ordinatamente, quasi in silenzio. E lo stesso fanno i tanti cittadini comaschi che in migliaia si sono susseguiti nella due giorni lariana per rendere omaggio al Beato alpino. Gli alpini vegliano l’urna fino a notte inoltrata. Lo fanno con semplicità e devozione perché vigilano sul riposo di un amico carissimo. La gente si sussegue in lunga processione. Chi si ferma per una preghiera, chi tocca l’urna, chi vi passa sopra un fazzoletto per poi baciarlo.

    Tutti hanno gli occhi lucidi. E gli alpini vegliano. La sera del sabato gli alpini si ritrovano al monumento ai Caduti per il rituale omaggio. Sono in tanti e con loro i consiglieri nazionali Casini, Crugnola, Minelli e Spreafico. È presente anche l’ex presidente Parazzini oltre alle autorità cittadine. Dopo l’onore ai Caduti il corteo degli alpini raggiunge il Duomo per la Messa. Ma questo non è un anno qualunque: è il 90º anniversario della costituzione della Sezione e la presenza in città del beato don Carlo rende la celebrazione oltremodo solenne. La Messa, presieduta dal vescovo di Como, viene concelebrata da mons. Bazzari, presidente della Fondazione e da circa trenta sacerdoti. L’emozione è forte. Fatico a togliere lo sguardo dal viso di don Carlo e mi interrogo su quella devozione semplice e sincera che appare chiarissima negli alpini.

    Gli alpini sono persone semplici e dirette e la santità di don Carlo la percepiscono immediata. La sua opera è lì da vedere: concreta e solidissima. Ma don Carlo non è solo un Beato della Chiesa, è un alpino e probabilmente l’uomo che, prima di ogni altro ha capito che l’unico modo per dare un senso ai tanti fratelli lasciati nella steppa era quello di adoperarsi perché quell’incredibile lezione di costanza, di tenacia, di fratellanza, di valore, di amore per la propria terra non venisse vanificata dall’oblio ed anzi venisse perpetuata nei fatti, di padre in figlio.

    Per tutto questo gli alpini lo percepiscono come il padre della moderna Associazione e come padre lo trattano con affetto e devozione sincera, ispirandosi, ancora oggi, alle sue parole ed ai suoi insegnamenti perché, come ebbe a dire proprio don Carlo, … per rifar bella l’Italia, per farla migliore, ci vuole il coraggio degli alpini, ci vuole l’amore della terra degli alpini, ci vuole la sobrietà degli alpini, ci vuole la religiosità degli alpini perché gli alpini hanno imparato ad esercitare in campo pacifico e per il bene dell’uomo, quelle stesse incredibili virtù che i loro padri hanno esercitato sino al all’eroismo in tempo di guerra .

    Questo spiega anche perché gli alpini si danno tanto da fare per trasmettere i valori che custodiscono. Basta ricordare, ancora, le parole di don Carlo: E nel nome di questi morti, nel nome di questi dispersi, nel nome di questo sacrificio, noi giuriamo che, dopo aver perseguito questo esempio veramente splendido , continueremo queste virtù e le perpetueremo ai nostri figli. Mi fa sempre commozione quando vedo un bambino con il cappello alpino, mi pare il nostro simbolo .

    Questo stesso giuramento si è certamente rinnovato nei cuori di quanti hanno avuto il privilegio di partecipare alla due giorni comasca e questo è un ottimo auspicio per gli alpini e, in definitiva, per la nostra Italia che mai, come ora, sembra averne bisogno.

    Cesare Lavizzari

    Pubblicato sul numero di gennaio 2011 de L’Alpino.