150°: ha vinto il cuore

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    Rifioriti i tricolori. Sinceramente, ci speravo. Anche se, per la verità, le premesse non erano del tutto positive. Alla vigilia del 17 marzo, il giorno ufficiale per la celebrazione dell’Unità d’Italia, serpeggiavano non solo mugugni, ma aperte contestazioni, gesti poco consoni alla ricorrenza che si stava per ricordare. Invece è andata bene, per così dire.

    I tricolori sono apparsi un po’ ovunque, in determinate zone non costituivano proprio una selva, ma tutto sommato sufficienti per poter affermare che l’amor patrio è sentito, nonostante i detrattori, e che il tricolore è nel cuore di moltissimi italiani. E dei giovani soprattutto. Nel Triveneto, c’era qualche apprensione in più.

    Determinate posizioni politiche mi avevano fatto tremare i polsi. Non tanto in Trentino, quanto in Alto Adige e nelle province venete. C’era aria di una vera e propria contestazione. Ma non è poi stato così, e probabilmente, sull’onda dell’entusiasmo alpino. Vicino ad ogni pennone, in ogni paese dove c’era un Gruppo alpini, la testimonianza è stata forte e spontanea. Quando il tricolore saliva non solo gli alpini si sono commossi, ma anche i cittadini che partecipavano senza essere invitati.

    Forse, le contestazioni erano di qualche esponente politico in cerca di visibilità, o di qualche amministratore che cercava notorietà, ma poi, alla fine, non è stato così. Hanno vinto coloro che portano l’Italia nel cuore. In una realtà che vede dominare la fretta, la corsa, spesso la superficialità e l’effimero, c’è chi per un attimo si è fermato e ha pensato a quei colori – il bianco, il rosso e il verde – che ci ricordano quanti sono caduti e purtroppo cadono ancora, in nome di quei principi che hanno fatto grande l’Italia, alla faccia di chi trova godimento a denigrarla.

    Transito per qualche strada e vedo ancora tricolori che sventolano su balconi, aste improvvisate, finestre. Non se li sono dimenticati. Sono lì perché il 150° finisce il prossimo 31 dicembre. Ma il tricolore vivrà anche dopo, sicuramente per gli alpini, speriamo anche per tanti altri.

    Roberto Gerola

    Pubblicato sul numero di maggio 2011 de L’Alpino.