Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Trabiccoli all’Adunata?No, grazie

    A Parma, in spregio ad ogni intervento della sede nazionale dell’ANA, la ‘trabiccolineide’ annuale ha superato ogni decenza. Dalla Sicilia alla Germania, la deprecazione è unanime. Per Parma, la palma dell’imbecillicità spetta a quel deficiente, di certo non alpino da età e caratteri somatici, che incoraggiato da un ubriaco che di tanto in tanto si rotolava per terra in canottiera, aveva manomesso il tubo di scarico del proprio trabiccolo per ottenerne a volontà fragorosissimi scoppi, con quale pericolo per la pubblica incolumità si può ben immaginare. Ovvero a quegli esibizionisti che tra le dieci e mezzanotte del sabato, con il centro di Parma intasato da eccezionale calca di folla, si ostinavano a volervi transitare con il loro sconcio trabiccolame, incuranti del rischio di investire alpini e cittadini. Io stesso debbo ringraziare di aver avuto scarpe comode: ci ho rimesso una calzatura e non il piede. Un trabiccolo mi ci è passato sopra. Un plauso poi a quell’individuo che percorreva imperterrito le vie di Parma con un minitrabiccolo trainante una serie di scatole vuote. Ed, in siffatto caos fatto gravisssimo sul quale ormai è maturo l'intervento della magistratura i mezzi di pubblico soccorso diligentemente predisposti dalla sezione Parma erano nella assoluta impossibilità di intervenire. E di stato di pericolo si poteva ben temere, eccome. Per gli alpini delle sezioni estere ad esempio, tutti anziani, tanti con problemi di cuore, tanti con giornate di viaggio sul gobbo e tutti senza il supporto, come invece per tanti trabiccolari, di gruppi ben dotati di tende, roulottes, campers, generi di conforto, brandine, gazebo di riposo, cucine al seguito e che, in caso di malore od infarto, sarebbero morti lì, in mezzo alla calca. A tutto questo è ora di dire basta. Trabiccolari e capigruppo compiacenti lo debbono sapere chiaro. Continuando l’indecoroso malcostume, già molti alpini sono pronti, se qualche PM non lo avesse intanto già fatto, a presentare denunce per pubblico pericolo alla competente Procura della Repubblica. Ma ammettiamo pure che il trabiccolo sia manifestazione di ingegnosità e di sana allegria. Ammettiamo che esso svolga anche una utile funzione: quella di avvicinare agevolmente al centro città ed al cuore delle manifestazioni, gruppi di alpini o sedicenti tali. Ma allora lo si regoli, lo si qualifichi almeno come mezzo occasionale di trasporto plurimo. Il trabiccolo sia allora ricavato da vetture con tanto di targa, risponda alle norme del codice della strada, sia appositamente assicurato e se ne possa individuare un presidente o capogruppo responsabile. Ed il percorso sia strettamente limitato, escluso in ogni caso il giorno della sfilata, al tragitto tra alloggiamenti di gruppi o sezioni e confini del centro storico delle città sedi di Adunata. E se proprio si vuol intenderlo espressione di una ingegnosità alpina da esibire allo spettabile pubblico, si organizzi al venerdì sera, in qualche viale periferico, una sfilata di trabiccoli, con premi ai più originali! Saremo alla carnevalata, ma la pubblica incolumità sarà almeno tutelata.

    Paolo Scarso Milano

    Fabrizio Quattrocchi

    Non appena lessi, nell’aprile del 2004, le parole attribuite a Fabrizio Quattrocchi di fronte alla morte, pensai che in sessant’anni di vita e quaranta di uniforme non avevo mai sentito di un italiano che prima di morire avesse avuto cuore di pronunciare quella frase: ‘Vi faccio vedere come muore un italiano’. Provai i brividi. Però, allo stesso tempo, ebbi un presentimento: a Fabrizio Quattrocchi nessuno avrebbe dato una medaglia. E difatti quell’uomo, raro testimone nel vasto mare di un’italianità rivendicata da pochi, non ebbe neanche i funerali di Stato. Provai sofferenza e rabbia. L’Italia, quella ufficiale dei palazzi del potere, non meritava un simile figlio. Così sostituendomi comprai un Tricolore e sopra quella stoffa, lettera per lettera, cucii le parole: Fabrizio Quattrocchi, medaglia d’Oro. Fu un’operazione che mi impegnò per alcuni giorni, e non perché le capacità sartoriali di un generale in pensione sono quelle che sono, ma perché pensare quell’uomo mi emozionava fino a velarmi la vista, tanto da costringermi a sospendere il lavoro. Poi, per mesi, esposi quella Bandiera ad una finestra di casa mia. Renato Soru, il presidente della Regione della Sardegna mi chiese: ‘E chi è, Fabrizio Quattrocchi?’. Mi cascarono le braccia. Nell’Italia ufficiale, anche la morte, per essere sacra, deve essere funzionale al politicamente corretto. Mi chiedo se ora al ‘mercenario’ Quattrocchi, un italiano che rischiava la vita e percepiva uno stipendio per garantire l’incolumità di gente che lavorava in Iraq, verrà riservata la stessa deferente considerazione dimostrata verso i ‘volontari’ di ‘Un ponte per Bagdad’. Provo disagio a pensare che probabilmente nei prossimi giorni quella medaglia, non concessa dall’Italia ufficiale per mancanza di coraggio nell’aprile 2004, forse sarà ora accordata per opportunismo politico. Se ciò avverrà, mi sarà di consolazione l’essere stato, con la mia bandiera, l’ignoto ed ignorato precursore di un gesto di riconoscenza dell’Italia verso un uomo che ha o­norato la sua Patria agli occhi del mondo.

    Nicolò Manca Sinnai (Cagliari)