Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Il cappello ad honorem?

    Cosa spinge un uomo a portare un cappello ed esibirlo come simbolo di fede?Qualcuno ha formulato un nuovo termine alpinità , ma per cogliere in pieno il significato di questa parola e poi interiorizzarlo cosa può fare un giovane che desidera fare l’alpino?Affidarsi alla dea bendata, fare dieci mesi di naja e poi è fatta, ne esce completamente trasformato. Certo che a guardarla così fa tanto ridere. Soprattutto se guardando intorno scopriamo gli amici degli alpini, gente umile che lavora in silenzio, che cantano le nostre canzoni, che dividono le nostre fatiche, che vivono le nostre emozioni ma non possono portare il cappello perché non hanno fatto qualche settimana di naja con gli alpini, magari hanno fatto 30 40 anni di duro lavoro all’estero, oppure perché, colpiti da disgrazia, non erano abili al servizio di leva. Come esistono lauree ad honorem, perché non diamo loro un cappello ad honorem, che se lo sono sudato?

    Adriano Rizzo Treviso

    Festa di primavera nelle scuole

    Gli alunni delle scuole elementari e medie dell’Istituto Comprensivo di Santo Stefano Belbo hanno festeggiato l’arrivo della primavera con la semina e la messa a dimora di piante e fiori negli spazi adiacenti l’edificio scolastico. Ha reso possibile tutto ciò il gruppo alpini del paese, che con immediata disponibilità e spirito di collaborazione ha provveduto alla preparazione del terreno. Dotati di tutti gli strumenti agricoli necessari, gli alpini hanno affiancato gli alunni per tutta la mattinata, fino al termine della Festa di primavera . Ancora una volta hanno dimostrato che la loro presenza c’è sempre dove c’è bisogno. Per questo va a questo gruppo un sentito grazie. Questa comunicazione è per me significativa per due motivi: insegno in questa scuola e la presenza degli alpini fra gli alunni è stato un esempio di come la solidarietà e l’aiuto reciproco siano valori da conservare. Inoltre, essendo figlia di un alpino della seconda guerra mondiale, mi sento molto legata a questo Corpo al quale apparteneva mio papà e per tale motivo continuo, in sua memoria, a ricevere il vostro giornale. Viva gli uomini che credono negli alpini.

    Franca Pena Santo Stefano Belbo (Cuneo)

    Il cappello del vecio

    Sono figlio di vecchio alpino. Ho vissuto la mia infanzia ed adolescenza nel piccolo paese di Ugovizza, in provincia di Udine, dove a quei tempi (anni ’60) era pienamente operativa la caserma D’Incao Solideo (nota come La tana dei lupi ).
    In famiglia gestivamo un’osteria, dove alla sera venivano gli alpini a trascorrere le ore di libera uscita e mi ordinavano: Bocia, portaci un litro di rosso! . E io immediatamente li accontentavo sapendo che da li a poco sarebbero iniziati i canti.
    Appoggiato al bancone li ascoltavo incantato, ma dopo un po’ arrivava un altro ordine : Vieni a cantare con noi… . Io obbedivo e mio padre divertito spiava dalla porta della cucina. E così passavano molte serate, una dopo l’altra.
    Senza accorgermene il mio DNA fu pervaso di alpinità. Decisi di diventare un alpino, ma quando si avvicinò il momento di partire dovetti chiedere l’esonero perché il mio vecio , ammalatosi di brutto, se ne andò.
    Lasciò dietro di se il cappello ed io ne divenni il custode. Quel cappello doveva vivere, non poteva marcire in un armadio. Con lui viveva la memoria di chi lo aveva fin lì fieramente portato nelle adunate nazionali e gelosamente custodito. Un giorno decisi il colpaccio e clandestinamente sfilai tra gli alpini della Julia in congedo con il cappello di mio padre, in occasione delle adunate di Milano e di Udine. Fu un’esperienza molto emozionante Il cappello e la penna nera del mio vecio sfilavano ancora!
    Da questa esperienza nacque in me un’idea che vorrei proporre agli organizzatori dell’Adunata nazionale: la sfilata dovrebbe aprirsi con una riga di cappelli appartenenti ad alpini deceduti di ogni ordine e grado. Dovrebbero essere portati, tenuti al petto o a braccio, da un parente o un amico, preceduti da uno striscione con la scritta: Le penne mozze sono con noi . Penso che ricordare così gli alpini che non ci sono più sarebbe un momento di grande emozione per tutti, un doveroso omaggio a chi ci ha preceduto. Non so se ciò sia un’idea realizzabile, ma se lo fosse, il capello del mio vecio è pronto e non aspetta altro. Un saluto dal vecio Friul.

    Mandi Franco Rassati Udine