Zona franca

    0
    56

    Rubrica aperta ai lettori.

    NOI RECIPROCAMENTE STRANIERI E CUGINI

    Inizio dalla fine degli anni Trenta. A Bolzano, dalle ultime case di Gries si estendevano verso l’Adige dei magnifici vigneti, gestiti dai padri del convento. Nel giro di pochi anni il tutto scomparve lasciando il posto ad un grandioso rione denominato quartiere delle Semirurali. Tutte casette da due a quattro appartamenti con vicoli interni e abbondante terreno per l’orto. I nuovi cittadini provenivano prevalentemente dal Veneto, diventarono l’ossatura della Bolzano industriale. Si insediarono infatti, nella così chiamata zona industriale, il Magnesio, la Lancia, le Acciaierie, e molte altre che diedero lavoro a decine di migliaia di operai. Nel frattempo, i cittadini dell’Alto Adige di etnia e lingua austriaci, da scettici diventarono prima attendisti e, subito dopo, concittadini. Vigeva allora un profondo rispetto reciproco, tanto che nacque favorendo il dialogo, e si sviluppò uno strano dialetto, con cadenze venete ma italianizzate, e presto fu adottato dalle due entità linguistiche. I tirolesi si esprimevano nella loro lingua naturalmente ma anche in questo nuovo idioma, e gli altoatesini in italiano e nuovo dialetto. Dalla convivenza comune, nel rispetto delle reciproche etnie, tradizioni, lingua e cultura, una nuova generazione di altoatesini-tirolesi. Le lingue ufficiali venivano adoperate secondo necessità, i giovani si ritenevano fortunati nel potere esprimersi nei due idiomi, c’era insomma perfetta simbiosi di vedute e di gestione delle cose pubbliche e di normale amministrazione. Purtroppo seguì un momento storico molto complesso. A causa della liberalizzazione del diritto al domicilio che prevedeva a tutti i cittadini italiani l’immediato riconoscimento a residente nel comune con semplice richiesta, un consistente numero di immigrati si trasferì nelle città altoatesine e una serie di problemi sempre più gravi si posero alle autorità. Ci furono gli atti dinamitardi che sconvolsero gli animi e contribuirono ad allontanare le due parti. Seguirono mesi di dibattiti e decisioni, e infine la ragione prevalse. L’Alto Adige-Sudtirolo ritornò ad essere una semiregione con due etnie, due lingue, due culture inserite nel territorio italiano in modo irreversibile, i fondamentali diritti delle due componenti tornarono ad essere garantiti dallo Stato. Possiamo pertanto affermare che nell’Alto Adige, si è sviluppato un contesto nel quale, cittadini con radici diverse sono riusciti a, non solo convivere, ma instaurare un dialogo ed unirsi nella conduzione delle cose pubbliche, con il buonsenso, contribuendo così a rendere migliore la vita in comune. Ribadisco con convinzione che la scelta di Bolzano è stata certamente sofferta ma pienamente legittima e che, il popolo altoatesino-sudtirolese saprà gratificare con serenità e simpatia l’arrivo di tante penne nere. L’Adunata sarà vissuta con partecipazione, con serietà, e nel pieno rispetto anche delle proprie tradizioni, della lingua e dei costumi, così come prevede la nostra costituzione anche nella salvaguardia di questi principi, sempre manifestata dall’Italia verso le minoranze, un popolo si distingue dagli altri.

    Da La nostra baita, periodico della sezione Svizzera

    PARODIA NEGATIVA SUGLI ALPINI

    Un martedì di agosto, in un caldo pomeriggio delle mie vacanze estive, stavo facendo zapping tra i vari canali televisivi e sono finito casualmente sul canale “Rai Movie” dove mi sono imbattuto nel film “Arrivano i Gatti”; un film, a giudicare dalle immagini e dalla fisionomia dei personaggi, dei primi anni 80. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano, in estate le televisioni ci propinano sempre repliche di programmi tv e film datati, anche sui nuovi canali telematici. Ciò che mi ha fatto incazzare (chiedo scusa per lo sfogo) è che i personaggi principali del film e cioè il quartetto dei “Gatti di Vicolo Miracoli” in questo film hanno fatto una parodia negativa degli alpini. Magari su You Tube qualche spezzone di questo film c’è. La parodia negativa sugli alpini di cui parlo nel titolo la si vede quando i quattro – che vengono vestiti da alpini – devono girare le scene di un film dal titolo quantomeno imbarazzante (“La dottoressa del distretto ha il vizietto di portarsi gli alpini a letto”). Si vede la bellona di turno, che fa l’imitazione di una dottoressa, che ha un solo interesse presentandosi mezza nuda (camice e quasi nulla sotto) in questa pseudo camerata di alpini. Come se gli alpini non aspettassero altro che fare sesso con la bella di turno… Francamente, dopo aver visto queste scene, mi sono vergognato di veder così declassato il nostro amato Corpo degli Alpini dopo tutto quello che hanno fatto in tempo di guerra e di pace.

    Dario Bignami

    I NOSTRI BINARI

    La nostra carta d’identità: uno striscione con i loghi che danno l’indirizzo di vita al nostro Gruppo alpini. Il logo ANA, ci riporta ai “binari” da percorrere indicati dai fondatori dell’Associazione: memoria, fratellanza, solidarietà. E sui binari che percorriamo salgono nuove persone che ci accompagnano nel viaggio, che condividono i nostri valori, che spesso operano sotto altri “loghi”, con lo stesso nostro volontariato. Il logo sezionale indica chi ci dà le direttive di come agire concretamente sul campo, la Sezione trasforma in ordini e inviti il lungo e articolato regolamento nazionale, sempre sostenendoci come i genitori con i figli. In basso vi sono i “loghi” che simboleggiano la nostra frazione. Il monumento ai Caduti ci invita a rivolgere ogni giorno un pensiero di ricordo, riconoscenza, rispetto, parole che di questi tempi sembrano essere scomparse dal dizionario. È inoltre rappresentata la chiesa, luogo dove “abitualmente” con le nostre famiglie e concittadini ci incontriamo, luogo da dove ha inizio ogni nostro agire. Infine la “stecca”, simbolo del passaggio delle consegne, rappresenta alcuni simboli per noi alpini irrinunciabili: la piccozza, uno degli strumenti che ci aiutano a tendere verso l’alto, a raggiungere i nostri obiettivi, il cappello alpino, nostro distintivo, ci consente di essere riconosciuti e conosciuti da chi incontriamo. Le tre cime possono rappresentare una meta, un ricordo personale, ma su tutto rappresentano per noi alpini: Monte Pasubio, Monte Ortigara, Monte Grappa. Tutto l’insieme finora descritto, prende vita e ha senso di esistere perché nasce dal tricolore che ci richiama costantemente all’unità tra noi e all’impegno per costruirla in ogni ambiente di vita dove ci troviamo.

    Luigi Ramon – Molvena (VI)