Uno zaino colmo di orgoglio e responsabilit

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    Alla fine della sfilata, ascoltate le ultime note dell’inno nazionale, lasciata scendere la bandiera ai piedi del pennone, quando la folla, assiepata in piazzale Cadorna, nonostante fosse già sera, cominciò a disperdersi, si diffuse improvvisamente un senso di sconcerto e di vuoto. Difficile se non impossibile capire dove fosse finita la baldanzosa presenza di quegli alpini che per quasi una settimana si erano sentiti cittadini di Bassano.

    La giornata era cominciata alle nove del mattino con i primi squilli di tromba, gli scatti dei reparti in armi, gli onori a bandiere, gonfaloni, personalità istituzionali, per scorrere in un fiume inesauribile e ordinato di uomini, vessilli, fanfare, striscioni per dodici ore. E sembrava non finire mai, come non sembravano esaurirsi gli applausi di una folla inchiodata dietro le transenne lungo tutto il percorso, incurante del sole, della fame e della sete. Poi, improvvisamente, tutto si è dissolto come in un sogno. Un bel sogno. E il risveglio non poteva essere più malinconico.

    La città festosa, accogliente, perdeva la veste di baita degli alpini per tornare alle sue attività, alla routine e vedeva sfumare quell’atmosfera piena di entusiasmo, voglia di vivere, libera dal traffico, convenzioni e paturnie della quotidianità. Bassano nella sua storia millenaria ha vissuto tante giornate esaltanti, non sono mancate anche quelle tragiche e secolo dopo secolo ha saputo crearsi un’identità forte all’insegna dell’arte, del gusto raffinato, della cultura. Negli ultimi cent’anni però sono state le penne nere a caratterizzarne l’immagine e connotarne la fisionomia.

    Migliaia di ventenni hanno animato le sue piazze, riempito le vie con la spavalderia dell’onnipotenza giovanile, per finire sul Grappa, sulle pietraie dell’Altipiano, sui monti della Grecia o sulle steppe russe. Per tre giorni Bassano è tornata ad essere alpina, all’insegna del ricordo, nei luoghi sacri della memoria, a novant’anni dalla fine della prima Guerra Mondiale.

    Ma non sono state le cerimonie, sicuramente toccanti e partecipate, a caratterizzare l’81ª Adunata. Bisogna cercare nell’atmosfera irreale che si viveva in ogni angolo della città, dei paesi limitrofi, delle aree attrezzate, con centinaia di barbecue fumanti, donne alle prese con pentoloni giganteschi e un numero incalcolabile di camper parcheggiati nei modi più trasgressivi, per cogliere appieno il coinvolgimento e la trasformazione del territorio bassanese nel più gigantesco palcoscenico mai visto in una terra pur sensibile alla scenografia. In tutti si avvertiva il bisogno d’incontrarsi, stare assieme, cantare vecchie canzoni e convincere anche gli astemi irriducibili che il proprio vino è un viatico cui non si può rinunciare, pena l’esclusione dal consorzio umano. Almeno quello maschile.

    Domenica 11 più di quattrocentomila persone, alpini e non, hanno applaudito sezioni, fanfare, cori, muli e barbe lunghe con crescente partecipazione fino a quando, sul calar della sera, è passata la sezione di Bassano a chiudere una giornata da incorniciare tra le più straordinarie della storia della città del Grappa. La nostra Associazione, in un quadro d’ineguagliabile effetto scenico, ha dato una dimostrazione di forza e di capacità organizzativa che non hanno riscontro in altri Corpi. Anche il più scettico e inguaribile brontolone ha dovuto arrendersi e lasciarsi trascinare nell’entusiasmo della grande kermesse.

    Dobbiamo riflettere. Lo sfilamento di settori disciplinati, i simboli, gli striscioni del credo alpino, la compostezza solenne di un rito che inchioda per un’intera giornata una città ad applaudire, escono dagli schemi di qualsiasi manifestazione di massa in Italia e nel mondo. Se tutto questo fa parte dell’orgoglio alpino, è allo stesso tempo uno zaino colmo di pesanti responsabilità.

    Vittorio Brunello