Un Tricolore per chi non è tornato

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    Otto lapidi solitarie nel cimitero di Fort Reno in Oklahoma (USA) recano incisi nomi di nostri concittadini. Alcuni combatterono ad El Alamein, in Tunisia, Sicilia, ad Anzio e Nettuno e morirono in prigionia negli Stati Uniti tra il 1943 e il 1945. È stato l’alpino Giuseppe Clemente, un geniere della “Tridentina” che vive negli Stati Uniti, a riscoprire, quasi per caso, questo frammento di storia patria.

    Fort Reno si trova vicino alla famosa “Route 66” ed è individuabile solo grazie ad un piccolo cartello che ne segnala la presenza: “Visit Historic Ft. Reno”. Tutt’attorno l’interminabile prateria con le sue mandrie e i pozzi di petrolio. L’immensa struttura fino al 1946 era il centro di rimonta quadrupedi dell’Esercito americano e la parte orientale di oltre 94 acri era destinata a campo di prigionia per 1.300 militari dell’Asse, in maggioranza tedeschi catturati in Nordafrica. Nel cimitero riposano 62 soldati tedeschi e 8 italiani, morti in altri campi, in Oklahoma, nel Texas e nell’Arkansas, dato che tra i prigionieri a Fort Reno morì un solo uomo: un soldato tedesco.

    Il cimitero è mantenuto da civili locali in via volontaria e le poche notizie sui Caduti sono state ricavate dagli archivi di guerra della Croce Rossa Internazionale di Ginevra, limitatamente però alla data di nascita e alla causa del decesso dell’internato. Cosa si poteva fare per i soldati italiani tumulati a Fort Reno? Avranno ancora dei parenti che non sanno nulla della sorte del loro caro?

    Armato di pazienza l’alpino Clemente ha contattato la Presidenza della Repubblica e il ministero della Difesa per sapere le località di provenienza dei Caduti. Avute le informazioni, ha scritto ai sindaci dei Comuni dei militari, allegando foto della tomba e del cimitero, e pregandoli di individuare eventuali famigliari e di far sapere loro che la tomba esiste, è curata da un alpino e vi sono sempre fiori e un Tricolore sulla lapide.

    Commovente e piena di ammirazione è stata la risposta dei sindaci di Cossano Belbo (Cuneo) e di Spinazzola (Bari) dove è stata contattata la sorella del soldato di cavalleria Francesco Erriquez, classe 1912, catturato in Sicilia nel luglio ’43 e deceduto in prigionia nel gennaio dell’anno successivo. La signora Rosa Erriquez, 83 anni, per la prima volta dopo oltre mezzo secolo ha potuto così vedere la tomba del fratello e conoscere il luogo dell’inumazione.

    Su sua richiesta, tramite Onorcaduti, sono state avviate le pratiche per il rientro dei resti a Spinazzola. Il 6 giugno scorso è stato un geniere alpino, cappello in testa, a riesumare il Caduto e avvolgere i resti nel Tricolore, alla presenza, tra gli altri, del console italiano a Houston Fabrizio Nava e del col. Gianluca Piccolomini dell’Aeronautica Militare.

    * * *

    Un’altra pagina di storia italiana presente negli Stati Uniti che è stata riscoperta e restituita alla dignità storica è la cappella votiva dell’ex campo di prigionia n° 31 di Hereford e la St. Mary’s catholic church di Umbarger. Il campo di prigionia di Hereford (Texas, USA) fu chiuso alla fine del 1946 e ospitò dal 1943 circa 5mila ufficiali e soldati italiani aderenti alla Repubblica Sociale Italiana. Tra loro alcuni nomi conosciuti: il generale Scattaglia, il pittore Alberto Burri, gli scrittori Giuseppe Berto, Dante Troisi, Gaetano Tumiati e Vezio Melegari, il musicista Mario Medici, il matematico Mario Baldassarri, l’avvocato Manzoni di Milano, il generale dei bersaglieri Franco Di Bello, il guardiamarina Luigi Montalbetti (che evase e a piedi quasi raggiunse il Messico).

    Del Campo oggi è rimasta la torre del serbatoio dell’acqua potabile, cataste enormi di filo spinato e la cappella votiva costruita dai prigionieri italiani nell’estate del 1945 e dedicata a cinque nostri connazionali che morirono a Hereford. Anche in questo caso l’alpino Clemente con pazienza e tenacia ha coinvolto nel progetto di recupero la signora Clara Vick della Castro County Historic Society e il presidente Arcobelli del Comites- USA. L’8 agosto 2009, dopo i lavori di restauro, si è svolta la cerimonia di ridedicazione della cappella votiva alla memoria di quanti sono rimasti per sempre in Texas. Per la prima volta dalla fine della guerra una rappresentanza militare statunitense e italiana si è recata a Hereford.

    C’erano, tra gli altri, l’on. Roberto Menia in rappresentanza del Governo italiano e quattro reduci di Hereford, ormai 90enni, che non hanno esitato ad intraprendere il lungo viaggio nell’estate texana: il generale Adriano Angerilli di Arezzo (all’epoca tenente della Milizia, catturato in Tunisia) che fu uno dei prigionieri che costruì la Cappella, il soldato Ezio Lucioli di Arezzo (all’epoca della Divisione Superga, catturato in Tunisia), Fernando Togni di Bergamo, (battaglione Barbarigo, X MAS, catturato sul fronte di Anzio-Nettuno) e il paracadutista Giuseppe Margottini di Como (reggimento Folgore della RSI, catturato sul fronte di Anzio-Nettuno), il più giovane prigioniero di Hereford poiché compì i 18 anni nel 1946.

    I nostri connazionali internati nel campo di prigionia di Hereford lavorarono anche nella chiesa cattolica St. Mary’s di Umbarger. Nell’inverno 1944-’45 il parroco di Umbarger, un piccolo villaggio a nord di Hereford, chiese al comandante americano del campo, tramite il vescovo di Amarillo, se fra i 5.000 prigionieri italiani, ci fossero dei volontari in grado di affrescare e decorare la chiesa. Ne furono scelti otto fra gli ufficiali. Tra loro il pittore Dino Gambetti di Milano e l’allora tenente dei bersaglieri Franco Di Bello di Udine, che, dopo aver fatto una ricognizione sul posto, organizzarono i lavori.

    Seppur nelle infelici condizioni in cui si trovavano i nostri connazionali, l’entusiasmo per il progetto fu contagioso: furono reclutati perfino dei prigionieri originari dell’isola di Murano che si occuparono della pittura delle vetrate. In sei mesi di lavoro, sempre rientrando al campo per le cinque del pomeriggio, i soldati italiani, trasformarono le spoglie pareti di una chiesa, costruita nell’immensità e nella solitudine del territorio texano, in una piccola Cappella Sistina.

    Matteo Martin