È tempo di migrare

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    Il presidente emerito Giuseppe Parazzini era solito dire che quando non ci si diverte più bisogna lasciare gli incarichi associativi. Condivido e aggiungo che allo stesso modo è necessario saper chiudere un’esperienza anche quando questa gratifica pienamente. Non è un paradosso e ancor meno un’esibizione un po’ snobistica di sufficienza; è una convinzione maturata negli anni trascorsi in via Marsala. Il rinnovamento e quindi la vitalità dell’ANA passano attraverso la sua capacità di coinvolgere energie nuove con un processo di ricambio generazionale ponderato e a scadenze ravvicinate. A tutti i livelli.

    I tempi di turbinoso cambiamento che stiamo vivendo non fanno sconti. Da qui una sola conclusione: dopo cinque anni alla direzione de L’Alpino è tempo di migrare. Un amico caro a cui ho confidato tempo fa l’idea di lasciare dopo l’Adunata di Torino mi ha risposto con un secco: “non ti credo” e un altro, più generoso, con un epiteto un tempo consentito solo tra alpini. È facile capirli. Non mettono in conto che sei anni in CDN e cinque alla direzione del nostro mensile mi hanno consentito di vivere le esperienze più coinvolgenti che possa dare un incarico in Sede Nazionale.

    In questi anni è avvenuto il travagliato passaggio dalla leva obbligatoria all’esercito professionale, una svolta epocale superata grazie alla solidità della nostra associazione e all’impegno dei comandanti dei reparti alpini che hanno saputo trasmettere ai giovani l’orgoglio e la consapevolezza di appartenere ad un Corpo speciale. Una piccola rivoluzione organizzativa e d’immagine è arrivata con la ristrutturazione della Sede Nazionale, del Rifugio Contrin, del Soggiorno Alpino di Costalovara. Altri interventi che lasciano un segno sono stati realizzati in Mozambico, Abruzzo, a Forca di Presta, Ripabottoni, per non parlare di Adunate nazionali memorabili e soprattutto di tanti incontri con alpini straordinari.

    I contatti con le sezioni all’estero infine aprono uno scenario umano e associativo unico e insegnano quanto conta l’amor di patria. Non si può chiedere di più. Il nostro mensile, L’Alpino, con le sue scadenze pressanti, la complessità dei contatti con lettori ricchi di umanità ma talvolta anche rocciosi, la necessità di rendere conto dell’attività di una grande famiglia in perenne fermento creativo, comporta un impegno considerevole se si sceglie come linea di non essere mai soddisfatti dei risultati, convinti che si può e si deve sempre fare di più e meglio.

    Se c’è stato qualche risultato il merito va attribuito al lavoro della redazione, sempre disponibile e puntuale, delle Sezioni e di tanti collaboratori esterni, retribuiti come d’abitudine a zero euro. Incondizionato è stato il sostegno da parte del presidente Corrado Perona, del Consiglio Direttivo Nazionale, dei presidenti di Sezione, dei capigruppo e soprattutto degli alpini, consorti comprese, con i quali c’è stato un costante colloquio attraverso migliaia di telefonate, lettere, e-mail. Un’esperienza gratificante. Per questo, nel momento di chiudere un capitolo importante della mia vita, non trovo appropriata l’espressione “zaino a terra”.

    Il peso dei ricordi, delle amicizie, dei contatti, che inevitabilmente diventeranno meno assidui, graverà sulle spalle fin dal momento della consegna delle chiavi a mons. Bruno Fasani, sicuro che la linea de L’Alpino resterà sui sentieri dei padri. Il conto, ne sono consapevole, arriverà puntuale e, anche se mi sto attrezzando, sento che la mia mente non riuscirà a liberarsi facilmente del vostro sorriso e delle vostre strette di mano. Grazie, alpini.

    Vittorio Brunello