Sibiu si ferma alle note del Trentatr

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    In Romania storicamente ci sono stati tre gruppi alpini fino all’avvento del comunismo, quando il capitano Emanuele Gerardo Croce, artefice della presenza ANA in Romania, venne espulso dal paese. La Romania, prima che terra di emigrazione è stata per noi italiani terra di immigrazione: già a metà 1800 c’erano alcune comunità italiane per lo più di veneti e friulani, scalpellini e boscaioli.

    Durante la prima guerra mondiale alcuni dei giovani italiani nati in Romania partirono per tornare in Patria ed arruolarsi e difendere l’Italia, vedi gli alpini Olivotto e Fantini. Ma anche durante la seconda guerra mondiale alcuni giovani, anche se con passaporto romeno e italiano, sentirono il dovere di tornare in Patria, in particolare ricordiamo Rinaldo Fauro che partì dal paese di Greci per arruolarsi negli Alpini con i quali fu inviato sul fronte russo, dove perse la vita nel 1942. Ora sono rinati due gruppi, uno a Bucarest e l’ultimo a Cluj Napoca: questo, il gruppo autonomo Transilvania, che abbiamo inaugurato il 30 maggio scorso, intitolandolo al capitano Croce.

    Durante la Messa celebrata presso la cappella dei Padri Gesuiti dal cappellano e padre spirituale dei Gruppi romeni, l’artigliere don Graziano Colombo, è stato benedetto il gagliardetto del Gruppo. Alla cerimonia per l’inaugurazione della sede, ai successivi festeggiamenti ed al pranzo hanno partecipato il consigliere nazionale per le sezioni estere Ornello Capannolo, il vice console onorario italiano a Cluj ing. Radu Paslaru, il colonnello dei Vânători de munte (alpini romeni) Gheorghe Iacob, rappresentanti militari dell’Ambasciata d’Italia a Bucarest guidati dal maresciallo Baffa.

    C’erano poi alcuni della sezione di Colico, con la fanfara Alto Lario, e della sezione di Sondrio, con l’amico Luigi Corti artefice dei collegamenti italo romeni, infine la Gran Bretagna presente con il suo vessillo e tutti gli altri alpini, provenienti da Bassano, Vicenza e da altre Sezioni. Non può mancare un ringraziamento particolare al gruppo autonomo cap. Piero Redaelli e ai suoi alpini presenti con il capogruppo Claudio Minuzzo e il vice Alessandro Pietta. Nella sezione erano presenti anche amici degli alpini.

    Sibiu. La sera di domenica 30 maggio, in piazza Mare il principale luogo di ritrovo di una delle più belle città della Transilvania, carica di una lunga storia che risale ai Romani, ai Sassoni dell’Ordine teutonico, ai tartari, all’impero austro ungarico, come testimoniano i resti della cinta muraria, gli edifici pubblici e privati rimasti intatti nonostante le ingiurie del tempo irrompe sulle note del 33 la banda di Colico con i vessilli delle sezioni di Sondrio, Colico, i gagliardetti dei gruppi autonomi di Romania, creando per un momento sconcerto, poi attenzione ed infine entusiasmo.

    Qualche migliaio di persone, con esponenti importanti dell’amministrazione pubblica, è lì ad ascoltare e ad applaudire e per quasi un’ora sembra che la vita della città si fermi o meglio che viva in funzione degli alpini. Claudio Minuzzo, un imprenditore che opera da qualche decennio nel settore dell’arredamento di alta qualità, e Andrea Piovesan, capogruppo, non nascondono la loro soddisfazione nel vedere le piazze e le vie del centro storico della città monopolizzate dalle penne nere.

    Il giorno successivo, nel trasferimento per Bucarest, la delegazione ANA e la banda di Colico, Ornello Capannolo in testa, sotto l’attenta regia di don Graziano Colombo, un trascinatore alpino in clergyman, fanno sosta al delizioso eremo di Climneti, nelle vicinanze dell’omonima località termale, dove s’incontrano con un reparto di soldati rumeni, capitati lì casualmente. Si fraternizza subito dimenticando i begli affreschi settecenteschi della cappella e l’ampio chiostro bianco colmo di gerani. A pochi chilometri dal monastero, nuova sosta della comitiva per la deposizione di una corona al monumento eretto sul luogo dove circa cinquecento soldati italiani furono internati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943.

    Non tutti tornarono a baita . Qualcuno, come Remo Tam, invece poté raccontare la sua storia. Eludendo la sorveglianza delle guardie gli riuscì di corteggiare Lenuza, una ragazza di una fattoria vicina al campo, e solo dopo una lunga odissea di peregrinazioni nell’Unione Sovietica e in Europa, a seguito della liberazione da parte dei russi, seppe di essere diventato padre di una bimba. Rientrato in Italia convolò a nozze con una sua paesana, per tornare dopo tanti anni sui luoghi di prigionia e lasciare tutti i suoi beni alla figlia rumena.

    Nel corso della lunga trasferta non è mancata una sosta nella bella città di Piteti per un mini concerto alla presenza del prefetto Gheorghe Davidescu manifestando il desiderio di gemellarsi con qualche municipalità italiana. L’ambasciata d’Italia a Bucarest con l’Istituto Italiano di Cultura diretto dal prof. Alberto Castaldini, un brillante studioso di lingue antiche, classiche e medievali e la collaborazione dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero, il Muzeul National al Satului, oltre alla Camera di Commercio Italiana per la Romania e ad una lunga lista di sponsor ha organizzato un Festival Italiano dal 18 maggio al 16 giugno per celebrare la ricorrenza della proclamazione della Repubblica Italiana.

    Si tratta di un fitto calendario di manifestazioni che va dalle mostre fotografiche, alle rassegne cinematografiche, ai dibattiti sull’emigrazione, ai concerti, ai recital, alle serate eno gastronomiche, alla moda ed altro ancora. Non poteva mancare in questo palmares culturale un incontro di Storia Militare, con la presentazione dell’Associazione Nazionale Alpini, tenuto per l’occasione da Vittorio Brunello, direttore de L’Alpino .

    Nella sala conferenze dell’Istituto di Cultura, presente un folto pubblico italiano e rumeno, il col. Massone, Addetto Militare presso l’Ambasciata ed altre autorità, è stata ripercorsa la storia del Corpo degli Alpini e soprattutto i novant’anni dell’Associazione. Il delegato alle sezioni all’estero Ornello Capannolo ha inoltre tracciato un’ampia panoramica delle 31 sezioni e 9 gruppi autonomi sparsi nel mondo. La proiezione di un filmato e gli interventi dei relatori sono stati accolti da un lungo applauso.

    Al Cimitero Militare Italiano, la mattina del 2 giugno, è stata celebrata una Messa da don Graziano Colombo, alla presenza di autorità civili, militari e carabinieri in alta uniforme. In quell’angolo ombroso, intrecciato da folte siepi di bosso, riposano dal 1918 duemilacinquecento militari italiani, prigionieri di guerra, morti di malattia e di stenti poco prima che la guerra finisse.

    Sull’imponente monumento bianco che ricorda il loro sacrificio sventola il tricolore. Nell’omelia, il celebrante, cappello in testa per quasi tutta la celebrazione del sacro rito, ricorda il senso della vita, soprattutto quella di chi l’ha sacrificata per gli altri. Nell’ascoltare le note dell’Inno nazionale e del Silenzio d’ordinanza i pensieri si perdono nei meandri della storia a riflettere, non senza commozione, sul destino di tanti giovani che non hanno nemmeno il conforto di un fiore portato da una mano amica.

    Nel tardo pomeriggio l’ambasciatore italiano a Bucarest Mario Cospito invita, fra tanti ospiti illustri, tra questi anche il ministro rumeno dell’Economia, anche la delegazione degli alpini e la banda di Colico, che esegue con grande successo gli inni nazionali. La partecipazione dei nostri suonatori dovrebbe limitarsi ad un breve concerto perché è in programma l’esibizione di un’orchestra con un repe
    rtorio di brani tutto italiano.

    Come nei migliori copioni alla fine della serata è la banda alpina a monopolizzare l’interesse del presenti. Difficile resistere al coinvolgimento un po’ scarpone di un gruppo di giovani che ingranata la marcia giusta non si ferma più.

    Pubblicato sul numero di luglio agosto 2010 de L’Alpino.