Settant’anni fa l’attacco alla Grecia

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    Tutti parlano della Russia, come se per noi la Grecia fosse stata una passeggiata . Il compianto Vitaliano Peduzzi, già direttore de L’Alpino, reduce del 7º battaglione Feltre (che era aggregato alla divisione Julia), soleva lamentarsi della debole memoria del sacrificio dei nostri alpini nella guerra dei Balcani. Raccontava d’una guerra nel fango e nella neve, di disperati assalti e sovrumani eroismi degli alpini, del loro altruismo e senso del dovere. E di come fossero stati protagonisti anche di grandi atti di umanità nei riguardi della popolazione civile, stremata e affamata. In questi anni, sparute comitive spontanee di alpini sono state a Tepeleni, alla Vojussa, al ponte di Perati, sul Golico e in altri luoghi del lungo calvario degli alpini.

    La gente li ha sempre accolti in amicizia, ma il progetto di porre qualche lapide o targa nei luoghi più significativi per onorare i Caduti, nostri e loro, è stata definita non fattibile e non giovevole in un lettera inviata al nostro presidente nazionale Perona dal console generale di Grecia a Milano, Nafsika Vraila, perché sussiste l’incognita di non essere gradito dall’opidi Giangaspare Basile nione pubblica greca in quanto possa far emergere, non del tutto passate in oblìo, tuttora, sgradevoli memorie storiche .

    Basta dunque una lettera per riportarci a un passato che non passa, nonostante sia trascorso un tempo lungo settant’anni, con l’unificazione europea, la moneta comune e il destino che ci lega (anche finanziario, come ha dimostrato la recente crisi greca che ha visto proprio il nostro governo fra i primi a promuovere solidali azioni di tamponamento economico), per non parlare delle migliaia di italiani che ogni anno visitano questo Paese pieno di bellezze e di storia tanto affine alla nostra

    Quella Campagna come quella di Francia e poi quella ancor più tragica della Russia, per non dire di quella nord africana fu imposta dalla follia espansionistica d’una dittatura e causò migliaia di morti. Mussolini era convinto che gli strepitosi successi tedeschi nella guerra lampo avrebbero portato presto alla pace, al cui tavolo l’Italia avrebbe avuto un ruolo marginale e subalterno a quello dello strapotente alleato. Per questo aveva pensato ad una guerra parallela , ordinando l’attacco alla Francia ormai in ginocchio. La guerra Oltralpe, pur brevissima (tre soli giorni!), aveva dimostrato l’assoluta impreparazione del nostro esercito e le precarie condizioni del nostro armamento ed equipaggiamento. Ma anche la disinvoltura a intraprendere, contro il parere di tutto lo Stato Maggiore, un’avventura che avrebbe portato l’Italia nel baratro. Il duce fu irremovibile e chi manifestava perplessità fu tacitato con un perentorio Faremo quel che potremo! .

    Nei Balcani Mussolini fu preda della stessa frenesia di non arrivare ancora secondo, mosso per di più dall’invidia dei successi del suo scomodo alleato e dei suoi mancati preavvisi delle operazioni lampo. Decise quindi di aprire un nuovo fronte per proprio conto, e iniziò a provocare la Grecia, il paese che riteneva più debole, retto da un re debole, Paolo II, praticamente esautorato dal primo ministro Metaxas. Un nostro sottomarino silurò un posamine greco alla fonda nel porto di Tiros durante una festa, causando morti e feriti; vennero organizzati incidenti e provocazioni nella Ciamuria, provincia greca al confine con l’Albania abitata da una folta comunità albanese.

    Regista fu Ciano, per espresso ordine di Mussolini. Era ciò che Hitler non voleva, perchè fu costretto a rinviare l’attacco alla Russia (stabilito per il dicembre dello stesso anno) spostando le divisioni corazzate schierate all’est per soccorrere l’alleato italiano bloccato, dopo i primi successi, in una guerra di posizione. Forse, questa circostanza, ha dato alla guerra un corso diverso. Se la Russia fosse caduta… Ma andiamo con ordine. 14 Ottobre Mussolini apprende che reparti corazzati tedeschi hanno occupato i pozzi petroliferi romeni per proteggerli . Mi mette sempre di fronte al fatto compiuto confiderà, furente, a Ciano ma questa volta saprà lui dai giornali che ho occupato la Grecia, così sarà ristabilito l’equilibrio . Già, la Grecia. Il capo di Stato Maggiore Badoglio aveva ammonito che per aprire questo fronte sarebbero state necessarie non meno di 20 divisioni e tre mesi di tempo per prepararle.

    Era inoltre necessario immagazzinare enormi quantitativi di rifornimenti per sostenere un così alto numero di uomini. Ma accecato e sordo ad ogni consiglio, Mussolini fissa la data di attacco: il 26 ottobre. I monti della Grecia sono già innevati e l’autunno non fa prevedere condizioni favorevoli. Ciononostante Il vanaglorioso e salottiero generale Visconti Prasca, che comanderà l’armata italiana nei primi disastrosi mesi di guerra, aveva convinto il duce che i greci non è gente che sia contenta di battersi e che il piano di invasione era perfetto. Aveva anche scritto un libro sulla guerra lampo, fatta con unità corazzate su terreno pianeggiante. Ma la Grecia ha una complessa orografia, era protetta dall’Inghilterra e dalla Francia, aveva un esercito organizzato e ottimi comandanti come si vedrà mentre l’armamento e l’equipaggiamento del nostro esercito era in parte quello della prima guerra mondiale e per il resto inadeguato.

    Il 26 ottobre, vigilia della guerra, all’ambasciata di Atene, si svolge in un’atmosfera irreale una serata italiana con la rappresentazione della Madama Butterfly, presente il figlio di Giacomo Puccini. Ci sono molte autorità greche. Durante il rinfresco, al ministro plenipotenziario Emanuele Grazzi viene trasmesso da Roma un testo cifrato in cui si intima alla Grecia di consegnare all’Italia alcuni punti strategici, o sarà guerra. Il messaggio ordina di consegnare la nota alle 3 del mattino del 28 ottobre. Il primo ministro Ioannis Metaxas riceve l’imbarazzato ambasciatore in vestaglia. Ha tre ore di tempo per decidere. Alors, c’est la guerre , risponde con un filo di voce. Grazzi tace. Inutilmente, due giorni prima, Hitler si era precipitato a Firenze per incontrate il duce nel tentativo di farlo desistere ed impedire i suoi colpi di testa . Saprà dell’azione italiana solo ad attacco iniziato. Sarà una campagna di alcune settimane , aveva pronosticato il maresciallo Badoglio nonostante le proteste dei capi di Stato Maggiore dell’Aeronautica e della Marina, contrari all’immediata entrata in guerra.

    Dopo iniziali successi, la guerra rivela ben presto che le previsioni di Mussolini sono soltanto tragiche velleità. Le pessime condizioni del tempo trasformano il terreno in una fanghiglia nella quale sprofondano le ruote dei veicoli, i muli, gli alpini. Gli stessi carri armati procedono con grande difficoltà sul terreno impervio e collinare. L’accanita resistenza greca toglie ogni illusione di facili vittorie. La Julia è al centro d’uno schieramento sulle montagne del Pindo, verso Metsovo: un punto strategico nella Grecia nordoccidentale, dal quale sarebbe possibile incunearsi fra le forze greche dell’Epiro e quelle del fronte Macedone. Il 2 novembre gli alpini conquistano Vovousa, una trentina di chilometri da Metsovo, dopo aver percorso 40 chilometri di terreno montuoso, spesso nel fango, sotto pioggia e neve: una drammatica anabasi.

    È una vittoria inutile perché, isolati come sono, a corto di viveri e munizioni, non hanno alcuna possibilità di resistere agli attacchi di un nemico che diventa sempre più forte. L’8 novembre il generale Mario Girotti, comandante della Julia, ordina la ritirata verso Konitsa, attraverso il monte Smelikas. Gli alpini combattono per cinque giorni in condi
    zioni disperate durante i quali la divisione viene decimata. Il Pindo è completamente in mano greca. In tutta fretta alcune divisioni vengono inviate in Albania, dove è stata ricacciata l’armata di Visconti Prasca; questi viene sostituito dallo stesso Mussolini con il generale Ubaldo Soddu, ex vice ministro della guerra. Il suo primo comando fu: attestarsi sulle posizioni conquistate.

    Era il fallimento della guerra lampo immaginata dalla fantasia del dittatore. A metà novembre i greci sferrano un poderoso attacco, forti anche di una soverchiante superiorità numerica: 250 mila uomini contro 150 mila italiani. Cade Coriza, la Julia e la divisione Modena sono accerchiate e senza rifornimenti, una situazione di caos generale regna lungo la linea del fronte. Il 4 dicembre il generale Soddu invia al comando supremo un messaggio per chiedere l’intervento delle forze tedesche, in alternativa ad un armistizio. Piuttosto che chiedere un armistizio ai greci dirà Mussolini è preferibile partire tutti e morire sul posto . La situazione precipita. I greci avanzano in territorio albanese e a fine dicembre occupano l’Epiro del Nord e lo strategico passo di Klisura. La loro offensiva verso Valona viene finalmente bloccata, ma costa gravissime perdite alle divisioni alpine Julia e Pusteria, e ai fanti delle divisioni Lupi di Toscana e Pinerolo.

    C’è una breve stasi nei combattimenti, un assestamento del fronte fino al 6 aprile, quando inizia l’attacco delle forze corazzate tedesche. Riprende anche l’offensiva italiana con la conquista di Coriza, di Ersekë e le coste greche del lago Prespa. Il 22 aprile i bersaglieri raggiungono il ponte di Perati: gli italiani sono nuovamente in territorio greco. La travolgente avanzata delle armate tedesche fa fuggire in Egitto re Giorgio II. In pochi giorni l’esercito greco viene circondato: il tenente generale Georgios Tsolakoglu, senza consultare il suo Stato Maggiore, offre la resa al comandante delle divisioni corazzate generale Sepp Dietrich, delle SS (sarà condannato a Norimberga a 25 anni per crimini di guerra), evitando di chiederla anche al comando italiano.

    Dietrich detta condizioni sorprendentemente blande ai greci, ai quali permette di mantenere in servizio gli ufficiali e una parte dell’esercito. Furioso più che mai per l’offesa ricevuta, Mussolini pretende la ripetizione della cerimonia della firma, avvenuta il 23 aprile alla presenza dei rappresentanti italiani. Dopo la conquista di Creta, l’ultima a cadere in mano tedesca, la commedia della grande sfilata delle truppe dell’Asse, ad Atene, il 3 maggio. La campagna di Grecia è finita. È costata circa 50mila morti (il numero non è mai stato appurato con precisione) e circa centomila feriti o congelati. Ha definitivamente sancito l’assoluta dipendenza dell’Italia alla Germania.

    Poi verrà la Russia e la totale disfatta che precederà il momento più buio dell’Italia: l’8 settembre 1943. Ma questo è un altro capitolo della nostra storia.

    Giangaspare Basile

    LE FORZE IN CAMPO

    ITALIA Queste le forze schierate all’inizio del conflitto il 28 ottobre 1940. Raggruppamento Litorale, guidato dal generale Rivolta, posto all’estrema ala sudoccidentale, comprendeva un totale di 5.000 uomini così ripartiti:

    • 3º Reggimento Granatieri di Sardegna
    • 7º Reggimento Cavalleria Milano
    • 6º Reggimento Cavalleria Aosta
    • un battaglione di camicie nere

    XXV Corpo d’armata della Ciamuria al comando del generale Carlo Rossi vi erano:

    • Divisione di Fanteria Siena (9.000 uomini), guidata dal gen. Gabutti
    • Divisione di Fanteria Ferrara (16.000 uomini, di cui 3.500 albanesi), guidata dal gen. Zannini
    • 131ª Divisione Corazzata Centauro (4.000 uomini, 163 carri armati leggeri, 24 pezzi di artiglieria, 24 anticarro e contraerei), guidata dal gen. Magli

    Divisione Alpina Julia era posta al centro dello schieramento per un totale di 10.000 uomini al comando del gen. Mario Girotti così ripartiti:

    • 5 battaglioni
    • 2 gruppi di artiglieria

    XXVI Corpo d’armata schierato in Macedonia occidentale, al comando del generale Gabriele Nasci vi erano:

    • Divisione di fanteria Piemonte (9.000 uomini), guidata dal gen. Naldi
    • Divisione di fanteria Parma (12.000 uomini, 60 pezzi di artiglieria pesante, 4 controcarro, 8 contraerei), guidata dal gen. Grattarola
    • Divisione di fanteria Venezia (10.000 uomini), guidata dal gen. Bonini.

    GRECIA

    • VIII Divisione, schierata in Epiro e rinforzata da una brigata di fanteria e artiglieria.
    • 3 battaglioni rinforzati, schierati tra il monte Smolika e il monte Grammos (zona del Pindo), di fronte alla Julia.
    • IX Divisione e IV brigata tra il monte Grammos e il lago Prespa.
    • 7 battaglioni di fanteria.

    La relativa inferiorità numerica dei greci venne gradualmente colmata con il costante invio di rinforzi, soprattutto in Epiro, provenienti dal confine con la Bulgaria e la Turchia, stati che avevano dichiarato la propria neutralità.

    Pubblicato sul numero di ottobre 2010 de L’Alpino.