Rendi forti le nostre armi…

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    Questa frase della Preghiera dell’Alpino è stata oggetto di aspre discussioni in questi ultimi decenni. Opposte schiere di esegeti e uomini di chiesa l’hanno difesa con tenacia o bandita come sacrilega. Le armi che invochiamo abbiamo cercato di spiegare devono essere intese in senso lato, in linea con le sensibilità dei tempi. Nonostante questo i fronti sono rimasti strenuamente avversi e continuano ad esserlo.

    Vuoi vedere che la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che non è l’Unione Europea diretta a far togliere i crocifissi dalle scuole, e pensiamo dai tribunali e da tutti i luoghi pubblici, ci obbligherà a rimescolare le carte e a fare un discorso più serio?Se il nostro impegno a difendere la civiltà cristiana può essere considerato ridondante e perfino retorico, è innegabile che, nel nostro credo alpino c’è un autentico sentimento religioso.

    Che sarà magari di natura vagamente pagana, fatto anche di bestemmie, tante, ma profondamente radicato nella connotazione della nostra identità di uomini e di cittadini. In quel sentire non c’è solo il volto della mamma che ha aiutato le nostre manine durante le prime preghiere, c’è tutta la storia della nostra crescita formativa, maturata sulla scorta di una cultura ereditata dalla tradizione romana, medievale, dell’Illuminismo, e di tanti altri momenti forti attraverso i quali è maturata la civiltà occidentale. Tutti passaggi che non possono prescindere, anche quando sono di confronto o di contrapposizione, dal segno del Crocifisso.

    Nella realtà europea poi, tutto ci riconduce ad una visione della persona come valore assoluto, che ha una incontestabile matrice cristiana. Questo rende particolarmente difficile condividere le motivazioni che hanno portato alla clamorosa sentenza. Se è legittimo tener conto delle sensibilità degli altri, perché non si deve tener conto anche delle nostre?È un mai scomparso anticlericalismo, di antica data e con ramificazioni più o meno occulte, anche nella società di oggi, che di tanto in tanto riemerge dalle ceneri per illuminare l’aborrito oscurantismo cristiano? Meglio tornare sui sentieri alpini. È il momento di fare una riflessione approfondita sulla necessità di dimostrare con forza che le nostre armi sono forti nel difendere le radici da cui attingiamo i valori e che la nostra battaglia , pacifica ma energica, è diretta contro la scristianizzazione del tessuto sociale e contro la dissacrazione dei simboli bandiera, inno nazionale in atto, a tutti i livelli.

    I governi, se lo riterranno, faranno valere le loro ragioni davanti alla Grande Camera avverso questa sconcertante sentenza. Noi, se vogliamo essere coerenti con le parole che pronunciamo, magari con enfasi, in ogni circostanza civile e religiosa, abbiamo l’obbligo di ricercare modalità e strumenti efficaci per far capire a chi di dovere che non siamo disposti a rinunciare ai nostri simboli. È una partita che non può essere giocata sul filo dei proclami. Alle autorità italiane e al Consiglio d’Europa, di cui fa parte il citato tribunale, deve arrivare un segnale forte: non si gioca con i cavilli interpretativi dei Diritti dell’Uomo per demolire la base culturale non religiosa! su cui questi sono stati costruiti. (v.b.)

    Pubblicato sul numero di dicembre 2009 de L’Alpino.