Quella Cjasute in riva al Don

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    Inverno 1942/43 sul fronte russo. Ogni notte, da una casetta in riva al Don che scorre placido e lento e segna l’esiguo confine di uomini contro, da un lato i russi e dall’altro il plotone ‘esploratori’ della 16ª Compagnia del battaglione Cividale – comandata dal capitano Carlo Crosa – che al ‘posto di ascolto’ – una casetta di legno, una cjasute – sorvegliano la sponda opposta occupata dal nemico. Hanno il compito di dare l’allarme nel caso qualche pattuglia nemica attraversi il fiume. Sono quasi tutti dello stesso paese, Faedis e, a rotazione, di altre contrade del Friuli. Ogni tanto un bagliore, e un colpo di fucile.

     

    La pallottola si perde sibilando. Gli alpini rispondono con una raffica, tanto per far capire che non dormono… Passano le ore e mille pensieri e i perché d’una guerra non capìta ma condotta con spirito di sacrificio e onore. E con l’assurdità della loro presenza in quella terra lontana affiora l’anima alpina mai sopita: spunta, sussurrata, qualche nota che via via diventa frase. Nasce un canto, più che una melodia, e racconta d’una casetta e degli alpini, del loro cuore che non trema, del loro sergente maggiore (Emanuele Scubla, di Faedis), del loro tenente…

    È il primo – e unico – canto di guerra composto in trincea dagli alpini stessi. Certo, non è ancora molto orecchiabile, perché ciascuno ci aggiunge qualcosa, qualche parola, qualche nota nel ritornello. Ma presto diventa la loro storia canora e i superstiti di quegli esploratori racconteranno la loro esperienza una volta tornati a baita, canteranno la loro “cjasute in riva al Don”. Si sa, i friulani sono gente fiera, amano la loro terra i cui confini arrivano solo “de qua de l’aghe”, al Tagliamento. Hanno forti tradizioni e un senso quasi sacro della memoria: per questo un alpino straordinario, Guido Fulvio Aviani, ha girato per il Friuli e raggiunto ben 127 reduci, ormai ultra 75enni, di quell’eroico battaglione Cividale. Si è fatto raccontare, cantare, fischiare quelle note, registrando tutto.

    Questa la testimonianza di un reduce, il caporale Alfredo Monutti, di Togliano – andato avanti pochi anni fa – raccolta dallo stesso Aviani: “Durante queste lunghe notti di veglia il sergente maggiore Scubla scrisse una canzone e la armonizzò assieme ai compagni e cominciò a cantarla, assieme alle villotte friulane (canti popolari, n.d.r.), per ingannare le lunghe notti dell’inverno russo”. Monutti aggiunse che la cantava assieme ai compagni superstiti quando il capitano Crosa veniva a trovare i suoi alpini, visite continuate fino alla morte dell’ufficiale.

    Il resto l’ha fatto Mauro Verona, maestro di musica e del coro Monte Nero. “La particolarità di questo canto, musicalmente parlando, è quella di essere nato da gente comune e non come spesso accade da compositori o da musicisti… ma da semplici alpini”, dice Mauro, e aggiunge che il brano è forse privo di complessità musicale, ma che è “proprio nella sua stupenda semplicità che noi riusciamo ad emozionarci e a capire che cantando stiamo vivendo un pezzo della nostra storia”. È davvero così non soltanto per gli alpini del coro ma anche per il pubblico al quale viene presentata “La Cjasute” nei concerti e l’ascolta in silenzio, commuovendosi. Perché, anche se quei valorosi reduci sono ormai scomparsi, resta vivo nella gente friulana – e non solo – il ricordo di quella guerra lontana che ha straziato con i suoi lutti migliaia di famiglie. E a sentire quelle note corrono, in un flashback degli affetti, su quella riva innevata del Don, e ascoltano quelle parole come se fossero cantate da voci di chi non c’è più.

    “Armonizzare ‘La cjasute’ non è stato facile – racconta Mauro – Ad ogni battuta, ad ogni nota ero consapevole di avere tra le mani una pagina della nostra storia che pochi o quasi nessuno ancora conosceva. Armonizzarla è stato un onore e non ti nascondo che spesso, mentre fissavo la partitura, mi sembrava quasi di sentirli cantare, quegli alpini, e me li immaginavo pronti a tirarmi le orecchie se l’arrangiamento non fosse stato di loro gradimento…”. Quel canto è ora la mascotte musicale del coro e della stessa sezione Cividale.

    Gli alpini ne parlano con devozione e rispetto, lo cantano come fosse una preghiera, il loro inno alla memoria e ai loro Caduti. “È un’emozione difficile da spiegare – conclude Mauro – Essere gli unici che cantano un canto originale della guerra di Russia non può che farci sentire speciali e orgogliosi di avere questo cappello in testa. E soprattutto di dare un senso al perché lo portiamo con tanto orgoglio”.

    Giangaspare Basile


    LA CJASUTE IN RIVE AL DON

    E le squadre esporador, con in teste il lor major, lor e levin a passà la gnot sul Don.

    Lor e levin a cjalà, par che i rus no vegnin cà, dal balcon di che cjasute in rive al Don.

    E je int che no i treme mai il cur! Je nasude sot il cil dal biel Friul!

    Se un “Ta pum” lor e sparavin, une raffiche molavin dal balcon di che cjasute in rive al Don.

    Gle lo giuro signor tenente, e di cur: finchè reste un de Julie fruz no mancin tal Friul!

    Se un “Ta pum” lor e sapravin, une raffiche molavin dal balcon di che cjasute in rive al Don.

    ***

    La Squadra Esploratori, con in testa il loro Maggiore, andavano a passare la notte sul Don.

    Loro andavano a vedere che i russi non passaserò di qua, dal balcone di quella casetta sulla riva del Don.

    C’è gente che non gli trema mai il cuore, è nata sotto il cielo del bel Friuli!

    Se un “Ta Pum” loro sparavano, una raffica rispondevano da quel balcone di quella casetta sulla riva del Don.

    Glielo giuro signor tenente, e di cuore: finchè resta uno della “Julia” non mancheranno mai bambini in Friuli!

    Se un “Ta Pum” loro sparavano, una raffica rispondevano da quel balcone di quella casetta sulla riva del Don.

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    Maestro del Coro alpino Monte Nero è Mauro Verona, presidente del coro è Giuseppe Mattelig.