Quel distintivo del reduce sul cappello del bocia

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    Desidero rispondere alla lettera di Ivan Lenardon. Ti rattristi perché dei giovani alpini sfoggiano sul loro cappello il distintivo dei reduci di Russia. Non sono d’accordo perché io stesso porto quel distintivo in memoria di mio padre che ha vissuto la campagna di Russia. Ma c’è un altro motivo per questo mio gesto: quando non ci saranno più reduci di Russia (e ne sono rimasti pochi) chi lo porterà al loro posto?

    Franco Brunelli Grezzana Verona

    Sono anch’io dello stesso parere di Brunelli. È anche questo un modo per far conoscere ai giovani la nostra storia, per ricordare e rendere omaggio a chi ha perso la vita per la patria, per la nostra libertà. Per rendermi conto di persona delle sofferenze che hanno vissuto i nostri padri mi sono recato in Albania, Grecia, sul Golico, sul Tomori, sul Guri Topi, sul Ponte di Perati, in Russia, Karabut, sulle rive del Don, a Waluiki. Nel ricordo delle sofferenze vissute da mio padre e di quanti hanno vissuto quelle inutili tragedie, porterò con orgoglio quel distintivo.

    Ivo Squaranti Grezzana Verona

    Egregio Cordero, il fatto di portare il distintivo di reduce di Russia sul cappello di un bocia’ Lei lo considera positivo ma io continuo a non vedere questa positività, nel senso che ognuno deve portare solo i suoi distintivi. Perciò è inconcepibile che si consideri con occhio benevolo questo comportamento!

    Daniele Tinti Treviso

    Queste le lettere del dibattito avviato anche sul portale. I fatti e le opinioni. Liberissimi di pensare quello che volete sull’uso del distintivo dei reduci di Russia, ma nessuno può negare che quello se lo sono guadagnato sul campo i veri protagonisti delle terribili vicende dell’Armata Italiana sul fronte orientale. Se ritenete di avere la missione di perpetuare la memoria delle loro vicende, non mancano altri modi per farlo, senza esibire un simbolo che, quando compare su un cappello, suscita sentimenti di sconfinata ammirazione. Sia chiaro: non ci sarà nessuno che verrà a togliervi quel segno, ma bisogna essere coscienti che non basta portare un distintivo per onorare i protagonisti di un’epopea straordinaria. Il culto della memoria è un’altra cosa.

    Pubblicato sul numero di gennaio 2011 de L’Alpino.