Quel 24 giugno a San Martino e Solferino

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    Correva l’anno 1859. Forte del successo della spedizione del contingente dei bersaglieri inviati in Crimea a fianco di Gran Bretagna, Francia e Turchia contro i russi, e della posizione assunta al Congresso di Parigi di tre anni prima, Cavour cominciò a tessere la rete nella quale sarebbe inevitabilmente caduto l’ingombrante vicino: l’impero austriaco di Francesco Giuseppe. Chi dice che le cure termali non fanno bene?Infatti è proprio lì che casualmente si trovarono il conte Camillo di Cavour, presidente del Consiglio del Regno di Sardegna e l’imperatore Napoleone III, nipote di Bonaparte.

    Cavour mirava a quei territori (Lombardia, Veneto ed Emilia) che dimostravano di essere già maturi per l’annessione al regno sabaudo; Napoleone III soffriva d’orticaria ogni qual volta Cavour gli parlava dei moti insurrezionali nell’Italia centrale e dei pericoli che correva il regno pontificio. Infine, ridimensionare l’influenza austriaca nell’Italia settentrionale conveniva a entrambi. Se poi si aggiungeva la cessione dei territori della Savoia e di Nizza come contropartita per l’eventuale sostegno alla causa piemontese, l’accordo era fatto. Restava una sola condizione posta dall’imperatore: a fare la prima mossa doveva essere l’Austria.

    Cavour poté finalmente coronare il suo sogno: mobilitare l’esercito e, nel contempo, provocare Vienna. Ci pensò anche Garibaldi, con le scorribande dei suoi Cacciatori delle Alpi . Al ricevimento di Capodanno Napoleone III aveva manifestato all’ambasciatore austriaco H bner il suo rincrescimento per il deteriorarsi dei rapporti tra Vienna e Torino.

    Il 10 gennaio, aprendo i lavori del Parlamento piemontese, Vittorio Emanuele II aveva pronunciato lo storico discorso, accolto con entusiasmo da tutti i patrioti italiani, durante il quale aveva affermato che: …nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi . Il discorso era stato concordato tra Torino e Parigi, come testimonia la bozza di Cavour con le correzioni di Napoleone III. Gli echi sono immensi in tutta la penisola. I volontari accorrono a Torino sempre più numerosi per unirsi alle truppe sabaude.

    Il 23 aprile l’Austria impose l’ultimatum: la smobilitazione o la guerra. E guerra fu. La mattina del 29 gli austriaci attraversarono il Ticino al comando del generale ungherese Ferencz (Franz) Gyulai nei pressi di Pavia e occuparono Novara e Mortara e, più a Nord, Gozzano, Vercelli e Biella, arrivando a 50 chilometri da Torino. Gyulai non trovò resistenza: l’esercito piemontese era accampato a Sud, fra Alessandria, Valenza e Casale. E proprio ad Alessandria si era schierato nel frattempo anche l’esercito francese. Napoleone III, sbarcato a Genova il 12 maggio, aveva assunto il comando delle forze franco piemontesi e due giorni dopo rintuzzò un attacco austriaco a Montebello, iniziando poi la marcia sulla direttrice Novara Milano (fu la prima volta che le ferrovie furono utilizzate come tradotte).

    Ma, traghettati nei pressi di Magenta, i reparti franco piemontesi si trovarono alla mercè di superiori forze austriache, ripiegate nel frattempo sulla linea difensiva tra il Naviglio Grande e il Ticino. La battaglia attorno a Magenta divampò cruenta il 4 giugno. A sera, vittorioso, Napoleone III nominò il generale Patrice de Mac Mahon maresciallo di Francia e duca di Magenta, città presa anche grazie ai reparti del generale Auguste Regnaud de Saint Jean d’Angély (anch’egli creato maresciallo di Francia nell’occasione), del generale Jacques Camou e del più giovane generale di divisione di Francia, Charles Marie Espinasse, caduto sul campo.

    L’8 giugno Vittorio Emanuele II e l’imperatore francese entrarono vincitori a Milano, sfilando sotto l’Arco della Pace in corso Sempione. Ma la guerra non era ancora finita. Rimosso il generale Gyulai, l’imperatore Francesco Giuseppe aveva personalmente assunto il comando dell’esercito austriaco e si preparava al riscatto nei pressi del fiume Mincio.

    La battaglia si combattè in tre località: Medole, Solferino e San Martino. Lo scontro iniziò a Medole (Mantova) alle 3 del mattino del 24 giugno 1859. Sul campo il IV Corpo d’Armata francese comandato dal generale Adolphe Niel e la Prima Armata Imperiale austriaca del feldmaresciallo Franz Wimpffen: in pratica 21mila francesi contro 49mila austriaci che, dopo 15 ore di sanguinosi combattimenti casa per casa vennero sbaragliati.

    Poco dopo l’inizio della battaglia a Medole, i cannoni cominciarono a tuonare più a nord. A Solferino 80mila francesi attaccarono 90mila austriaci e ne ebbero ragione dopo oltre 10 ore di accanita lotta, mentre a San Martino 30mila piemontesi sconfissero altrettanti austriaci, comandati dal generale Ludwig Von Benedek. Sul calar della sera tutto era finito. Per essersi distinto nella battaglia il generale Niel venne creato maresciallo di Francia da Napoleone III che gli conferì il titolo di duca di Solferino (che Niel rifiutò).

    La battaglia fu così sfiancante che i vincitori non ebbero la forza d’inseguire i soldati austriaci oltre il Mincio, lasciando che ripiegassero nelle fortezze del Quadrilatero , a Mantova, Verona, Legnago e Peschiera. Le truppe franco piemontesi passarono il fiume sei giorni dopo. Sul campo rimasero quarantamila, fra morti e feriti. Uno spettacolo tanto orrendo che lo svizzero Jean Henri Dunant che era giunto in Italia per avere un colloquio con l’imperatore francese si unì ai soccorritori, acquistando materiali e organizzando un piccolo esercito di 6mila uomini per trasportare negli ospedali di fortuna i soldati feriti di entrambi gli schieramenti. Annoterà sul suo Souvenir da Solferino: Nell’Ospedale e nelle Chiese di Castiglione sono stati depositati, fianco a fianco, uomini di ogni nazione. Francesi, austriaci, tedeschi e slavi, provvisoriamente confusi nel fondo delle cappelle, non hanno la forza di muoversi nello stretto spazio che occupano. Giuramenti, bestemmie che nessuna espressione può rendere, risuonano sotto le volte dei santuari. Mi diceva qualcuno di questi infelici: Ci abbandonano, ci lasciano morire miseramente, eppure noi ci siamo battuti bene! .

    La storia vuole che Napoleone stesso, fortemente scosso dalla durezza degli scontri e dall’elevatissimo numero di morti e feriti, abbia voluto interrompere la guerra. Avviò subito contatti con Francesco Giuseppe, l’11 luglio si incontrò con lui a Villafranca e il giorno dopo fu firmato il celebre armistizio, non senza delusione dei patrioti italiani che avrebbero voluto sfruttare maggiormente la vittoria.

    L’11 novembre, a Zurigo, fu firmata la pace. L’Austria cedeva alla Francia la Lombardia, che l’avrebbe assegnata ai Savoia, mentre conservava il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera. Tutti gli stati italiani, Veneto incluso, avrebbero dovuto unirsi in una confederazione presieduta dal Papa.

    Avrebbero. In realtà, le cose andarono diversamente. Ma questa è un’altra storia.

    Oggi quelle gesta sono tramandate nei nomi delle città (Montebello della Battaglia, San Martino della Battaglia) e nei monumenti curati dalla Società Solferino e San Martino, un ente morale nato nel 1871 per perpetuare ed onorare gli ideali ed i valori del Risorgimento, la memoria dei Caduti e di tutti coloro che combatterono per l’unità e l’indipendenza d’Italia. In cima al colle più alto di Solferino, conteso dagli Austriaci all’esercito francese, sorge una rocca alta 23 metri che risale al 1022.

    Viene chiamata la spia d’Italia per la sua posizione strategica. Adibita a muse
    o, in essa sono conservati i cimeli recuperati sul campo di battaglia. Nel parco della rocca nel 1959 è stato eretto un memoriale mentre, ad est, la chiesa di San Pietro in Vincoli è trasformata in chiesa ossario. Anche a San Martino si trova una chiesa ossario, in origine cappella gentilizia dei Conti Tracagni. Dal 1870, in occasione dell’11º anniversario della battaglia, custodisce nell’abside 1274 teschi, mentre nella cripta sono deposte le ossa di 2619 caduti, senza alcuna distinzione di nazionalità.

    La torre sorge sul Roccolo, il colle più alto di San Martino, nel luogo in cui l’armata sarda combattè più aspramente contro gli austriaci. È alta 74 metri e fu inaugurata nel 1893, dopo 13 anni di lavori. E’ stata eretta per onorare la memoria di Vittorio Emanuele II e di quanti combatterono per l’indipendenza e l’unità d’Italia nelle Campagne dal 1848 al 1870. Fu realizzata grazie ad una sottoscrizione nazionale e per questo si può dire che sia espressione del sentimento patrio degli Italiani. Ed è proprio alle sottoscrizioni pubbliche che la Società Solferino e San Martino si affida ancora per raccogliere i fondi necessari (servono circa 800mila euro) per restaurarla.

    È un luogo ricco di storia anche recente, come la visita, nel 1959, dei presidenti De Gaulle e Gronchi. Quest’anno le celebrazioni sono state aperte il 19 aprile scorso ed avranno il momento topico nella settimana dal 20 al 28 giugno. Il 24 giugno, alla commemorazione del 150º anniversario della battaglia parteciperanno i presidenti di Francia e Italia, Nicolas Sarkozy e Giorgio Napolitano, rappresentanti di Austria, Ungheria e della Croce Rossa.

    In particolare, dal 23 al 28 giugno, a Solferino, si svolgerà lo Youth on the move (Gioventù in movimento) il 3º incontro mondiale della gioventù organizzato dalla Croce Rossa Italiana; dal 26 al 28 giugno a Rivoltella e il 28 giugno (ore 16) a San Martino della Battaglia ci saranno rievocazioni storiche con i figuranti.

    Per informazioni sul programma e per le visite ai complessi monumentali e al museo: Società Solferino e San Martino, tel./fax 030/9910370, www.solferinoesanmartino.it

    Pubblicato sul numero di giugno 2009 de L’Alpino.