Perona fra gli alpini in Sudafrica

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    La bandiera sudafricana, dai colori sgargianti e il disegno geometrico, sventola accanto al Tricolore nel cortile del Club Italiano di Johannesburg. É una bella giornata, con una temperatura mite e i colori tenui dell’incipiente autunno australe. L’animazione davanti alla baita ANA, inaugurata da Leonardo Caprioli il 26 novembre 1995, come ricorda la targa posta sul monumento a piramide tronca sormontato da un’aquila intenta a spiccare il volo, è quella delle grandi circostanze.

    Non è di tutti i giorni l’arrivo di una delegazione di oltre una ventina di alpini, guidata dal presidente nazionale Corrado Perona, venuta a festeggiare il 24º di fondazione della sezione e un 25 Aprile diverso da quello delle piazze italiane, nella terra dove sono stati concentrati quasi centomila prigionieri di guerra provenienti dalle sfortunate battaglie in Etiopia, Eritrea, Somalia e Libia, nel corso della seconda guerra mondiale.

    La megalopoli sudafricana, con i suoi 9 milioni di abitanti, terza del continente africano, dopo il Cairo e Lagos, non ha una grande dimestichezza con gli alpini e i pochi che ancora vi risiedono sono dispersi su un’estensione territoriale enorme. Tuttavia la scia lasciata da Ilario Rader, origini vicentine, realizzatore della baita, da Fausto Del Fabbro, ferraiolo di Forni Avoltri e da Giuseppe Mazzolini mantiene alto lo spirito di Corpo e l’orgoglio dell’italianità. Se n’è avuta una prova, anche se non ce n’era bisogno, la sera dell’arrivo, quando la comitiva proveniente dall’Italia ha incontrato per un momento conviviale la comunità italiana.

    Dopo qualche convenevole abbiamo avuto la sensazione di trovarci in un qualsiasi borgo delle Alpi, con le canzoni di montagna, i dialetti delle valli e il sentimento di fraternità che sempre accompagna gli incontri degli alpini. Ore indimenticabili, trascorse assieme come una volta sull’aia delle contrade. Il cerimoniale della manifestazione, la mattina di domenica 26 aprile, come da manuale, inquadra, sul bel prato antistante la baita, alpini, familiari e autorità. È l’ora dell’alzabandiera, con gli inni dei due paesi cantati dalla Corale Valli Alpine giunta al suo 50º di fondazione, la deposizione di una corona al monumento all’Alpino e la santa messa, celebrata don Giuseppe Delama, trentino, da oltre quarant’anni in Sud Africa.

    Gli è accanto a concelebrare padre Damiano Guzzetti di Turate, provincia di Como, missionario in Uganda, alpino del Reggimento Trasmissioni a Merano negli anni 1988/89. Porta il suo cappello durante tutta la messa e ha l’aria di essere un alpino prete più che un prete alpino. Schierati attorno all’altare il presidente Corrado Perona, Tullio Ferro presidente della sezione, tenace nel volere a quella cerimonia la presenza dell’ANA nazionale, il console generale dr. Enrico De Agostini, un diplomatico giovane e simpatico e il ten. gen. Carlo Gaggiano, Capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica Militare sudafricana, di lontane origini dell’isola d’Elba.

    Accanto al vessillo della sezione Sud Africa sono schierati i gagliardetti di Malatina (sez. di Modena), Borgosatollo (sez. di Brescia), Abbiategrasso (sez. Milano), Borgomanero (sez. Omegna). Ultimata la cerimonia religiosa prende la parola Tullio Ferro per ringraziare i presenti, in particolare quelli provenienti dall’Italia e per ricordare i Caduti nella ricorrenza del 64º della liberazione. Ai suoi alpini e a tutti gli italiani che hanno scelto il Sud Africa come seconda patria riconosce il merito di aver avuto la saggezza e la volontà di rispettare le diversità del mondo . E guardando Perona con malcelata soddisfazione per essere riuscito a trattenere la commozione, sembra dirgli: vedi che un bergamasco sa anche non piangere .

    Emilio Coccia, responsabile del cimitero militare di Zonderwater, ringrazia la delegazione italiana per la sua presenza e richiama tutti all’obbligo di conservare, con il dovuto decoro e rispetto, la memoria dei Caduti. Il console De Agostini manifesta la sua soddisfazione di essere presente alla bella cerimonia e ricorda che a Johannesburg la comunità italiana è rispettata per la presenza attiva nella vita sociale di Johannesburg e il successo conquistato con un duro lavoro. E rivolge lo sguardo al monumento al minatore; un enorme blocco di granito che domina l’area del Centro Italiano, sormontato da un giovane con una perforatrice.

    Il presidente Perona nel suo intervento riconosce che ci sentiamo tutti debitori verso gli alpini emigrati in tutti i continenti. Bella gente che lavora e si sente sempre legata al cappello alpino. Non dobbiamo insegnare nulla a loro. Sono una ricchezza perché portatori di valori autentici. É importante nel mondo d’oggi seminare il credo alpino. Anche i giovani stanno volentieri con noi e nelle adunate sentiamo che ci circonda il calore della gente. Il pensiero va al consigliere nazionale Ornello Capannolo, delegato ai contatti con le sezioni all’estero, rimasto in Abruzzo a lavorare per la sua gente.

    Ci teneva fortemente ad essere presente conclude il presidente ma il senso del dovere lo ha tenuto nella sua terra sconvolta dal terremoto . Segue, in una bella sala addobbata con eleganza e dominata dai colori nazionali, un pranzo che consente di fraternizzare senza formalità con i nostri connazionali. Fra gli alpini il più giovane, Paolo Emilio Como, cittadino sudafricano, per sua volontà è venuto in Italia ad assolvere l’obbligo del servizio militare. Nelle Truppe Alpine ovviamente. Oggi è poco più che trentenne e si sorprende della nostra sorpresa di una scelta così importante.

    È anche italiano e il suo dovere ha voluto farlo. Alla barba degli obiettori di comodo! Il più anziano, Giovanni Boschetti di Schio (VI), artigliere, grazie alla sua qualifica di tornitore evita le cruente battaglie di tanti suoi coetanei, ma non il conto con i rischi e le tribolazioni della guerra, oltre che della povertà del periodo della ricostruzione. Cinque anni di lavoro in Svizzera e poi se ne va a cercare fortuna in Sud Africa. La vita dura non ha scalfito la sua verve ironica e giovanile che gli consente di guardare, dall’alto dei suoi 88 anni, i cambiamenti avvenuti nel mondo con la saggezza contadina: El gira sempre da la stessa parte , esclama allargando le braccia.

    Il 27 aprile la comitiva italiana prende la via dei parchi più suggestivi d’Africa, mentre il presidente Perona si reca a Zonderwater, a deporre un fiore sulla tomba dei militari italiani sepolti in quel cimitero sperduto su un tavoliere senza confini. I soldati che lì riposano sono circa 350, parecchi sono deceduti a causa dei violenti fulmini della savana, quand’erano ancora accampati sotto tende sorrette da paletti in ferro, oppure morsi da serpenti. Il resto l’hanno fatto le malattie.

    Di loro, oltre alle candide croci allineate su un bel tappeto verde, restano, poco lontano, una chiesetta in abbandono, dove hanno ricevuto l’estremo saluto dei commilitoni, e le testimonianze raccolte nell’interessantissimo museo inserito nel cimitero. In una sala luminosa sono raccolti oggetti di vita quotidiana, foto, pitture, lettere, diari. Un materiale che prima o poi dovrà essere valorizzato perché costituisce una rara documentazione di un singolare e umano campo di concentramento.

    Lì i prigionieri di guerra erano tutelati alla lettera, per volontà del suo comandante, il col. Hendrik Frederik Prinsloo, dalla Convenzione di Ginevra. Tra le tante attività del campo, primeggiava la scuola. In 15 mila hanno imparato a scrivere e a leggere, 9.000 hanno ottenuto la licenza elementare. Su un foglio sdrucito, con bella scrittura arrotondata, si legge: Cara
    mamma, ti invio questa lettera perché ora so scrivere .

    Pubblicato sul numero di giugno 2009 de L’Alpino.