Mario Rigoni Stern andato avanti

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    Per i lavori aiutavo in casa o nel negozio di generi alimentari che avevamo sulla piazza centrale del paese. Ma c’era anche da preparare la legna per l’inverno, tagliare il fieno . Sono i ricordi di ragazzo di Mario Rigoni Stern, ricordi che caratterizzeranno tutta la sua vita, ne plasmeranno l’esistenza conclusa la sera del 16 giugno scorso nella quiete della sua casa di Asiago, a ridosso d’un bosco. È l’autore de Il sergente nella neve, la tragica anabasi degli alpini in Russia, scritto in parte durante la prigionia nei Lager tedeschi in Lituania, Slesia e Stiria. Era nato il 1º novembre 1921.

    Dopo aver frequentato la scuola di avviamento al lavoro, aveva fatto il garzone nel negozio dei genitori che vendevano prodotti delle malghe. A 17 anni si era arruolato volontario negli Alpini ed era stato assegnato alla scuola militare di Aosta. Era il 1938 e la guerra sembrava lontana per la giovanissima recluta. Verrà presto il disincanto: l’anno dopo, mentre trascorre una breve licenza a casa, deve rientrare in tutta fretta. Racconterà che in quel momento capì che la sua vita sarebbe cambiata radicalmente. E infatti, allo scoppio della guerra, viene mandato prima in Francia, poi in Albania e infine in Russia, con il battaglione Vestone.

    Il rientro in patria, dopo la tragica ritirata, non gli risparmierà l’internamento in Germania, da dove tornerà, a piedi, nel maggio del 1945. Il sergente nella neve viene pubblicato da Einaudi nel 1953, in anni in cui non era politicamente corretto parlare della tragedia dei nostri soldati al fronte, delle immense responsabilità di chi li aveva mandati mal equipaggiati e peggio armati nell’inferno d’una guerra disperata. Il sergente nella neve svelerà tutto questo, con l’efficacia d’un neorealismo che esce dagli schemi della letteratura pretenziosa, con uno stile spoglio ed essenziale. Il libro ha un immediato successo.

    Il vantaggio di Rigoni, rispetto ad altri scrittori, è di essere ancora uno sconosciuto, fuori dal giro degli intellettuali borghesi. È un semplice montanaro, cresciuto sull’Altipiano, tornato dalla guerra, come tanti … Invece Rigoni ha tanto da raccontare, per se stesso e per i suoi compagni che ha visto morire. La sua scrittura è immediata e colpisce la gente, fa capire cos’è la guerra, nella quale, nonostante tutto, la differenza la fà ancora l’uomo. Mai, in quest’opera, la tragedia di tanti si trasforma in racconto di massa, statistico: il dramma collettivo che diventa storia è sempre meno dirompente del grido del singolo. Ed è appunto nelle vicende di singoli uomini di sacrificio, dolore e riscatto delle quali il lettore diventa compassionato partecipe la chiave di lettura del libro.

    Ecco fra tanto morire un episodio che ancor oggi suggerisce, nonostante tutto, una speranza nell’uomo: quello del sergent maggiùr che durante la ritirata, mentre imperversa una bufera di neve entra in un’isba dove, seduti a un tavolo, ci sono dei soldati russi che lo guardano stupiti, in silenzio. Mangiavano la minestra ciascuno affondando il cucchiaio in un’unica zuppiera in mezzo a loro. Rigoni ha il fucile spianato, se lo mette in spalla e dice in russo: ho fame. Una delle donne dell’isba gli allunga una ciotola di minestra fra le mani e lui mangia, sotto gli occhi dei soldati russi che lo guardano sbigottiti e immobili.

    Spaziva! (grazie!), dice alla fine; pasausta! (prego!), risponde la donna che lo accompagna fuori. E prima di lasciarlo gli dà un favo di miele, per i suoi alpini. Scriverà nel Sergente nella neve che, a pensarci, non trovava affatto strano quell’episodio, ma naturale, di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini , e di non aver provato alcun desiderio di difendersi o di offendere, alla vista dei nemici.

    In quell’isba, si era creata fra me i soldati russi e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di più una volta tanto le circostanze avevano portato gli uomini a restare uomini . Un tassello di quel grande mosaico di dolore e di morte, di eclissi dell’umano che è stata la guerra, ma anche di sublime eroismo e di profonda pietas degli alpini che hanno riscattato con grande eroismo e profonda umanità la follia di chi li aveva mandati in quella terra lontana. Alpini che torneranno tanti anni dopo, a costruire un bellissimo asilo, il migliore monumento dedicato alla pace e a tutti i Caduti, senza distinzione: perché la morte non ha bandiere e perché l’unica cosa che non si cancella è l’onore di chi ha dato la vita per compiere il proprio dovere.

    Ci vorranno nove anni, dopo la pubblicazione del Sergente , per avere un altro libro di Rigoni Stern, seguito da tanti e poi tanti ancora, opere che sanciscono il profondo legame tra memoria e natura, dal Bosco degli urogalli a Storia di Tönle a I sentieri sotto la neve a Stagioni. In tutti l’amore della montagna, l’incanto del bosco con i suoi fruscii e i suoi misteri, la vita semplice dell’Altipiano la sua anima nello scorrere del tempo, il senso delle piccole cose. E, insieme, la memoria del vissuto, gli alpini, un turbinìo di sentimenti così lontano dal frastuono di chi prende la vita correndo, come purtroppo impone questa nostra affannosa quotidianità. Rigoni se ne stava nella sua casa sull’Altipiano in compagnia di qualche raro amico e il resto lo teneva lontano.

    Le sue ultime apparizioni in pubblico sono state sull’Ortigara, nei giorni dell’adunata ad Asiago, alpino fra gli alpini. È stato una coscienza critica del proprio tempo, indicando con i suoi bellissimi libri, così vicini ai sentimenti e alle emozioni della gente comune, un modello di vita fatto di rispetto per la natura e del passato. Una voce del Novecento, di quel secolo breve che va dalla prima alla seconda guerra mondiale, un secolo di grandi speranze e di grandi illusioni. Le sue pagine appartengono alla storia della letteratura moderna, esempio d’un lessico estraneo al formalismo lezioso e saccente, e per questo efficace e diretto. Ma, prima ancora, sono una lezione d’amore.

    Giangaspare Basile


    Riportiamo per gentile concessione della Casa Editrice Einaudi, che pubblica tutte le opere di Mario Rigoni Stern l’ultima pagina di Stagioni . É un brano che suona come un commiato e un ringraziamento alla vita.

    Lassù, dove ora ci sono spazio e silenzio e non turisti, non sciatori, non greggi; solo qualche cacciatore armato di cannocchiale e binocolo, arrivato camminando ancora prima dell’alba, che sta immobile a osservare i camosci per studiarli, capire, considerare prima di decidere a chi deve indirizzare la sua mira. Con le prime nevicate di fine anno i camosci lasciano i campi dell’amore per discendere verso i boschi sottostanti dove sarà più facile superare l’inverno.

    Al mattino gli stagni degli abbeveratoi sono velati dal ghiaccio e nelle zone in ombra la brina giorno dopo giorno aumenta la sua consistenza. Uno sparo lontano ti farà ricordare che il tempo della caccia sta per finire. Forse era in un capanno dove si erano posate le cesene; su quel lepre che poco prima hai seguito con la voce dei segugi: andavano per boschi e dossi e sentivi i cani ora vicini ora lontani; spegnersi, poi riprendere.

    Allora con questo suonar di bracchetti ti accorgi anche di altri suoni: un sommesso e flautato zufolare di ciuffolotti confidenti sugli apici del bosco, la voce di un pettirosso dentro un cespuglio di rosa canina, un corvo imperiale solitario che vola alto e richiama la compagna che era rimasta indietro, la corsa di un capriolo e un suono di campane che il bel tempo ti porta da ponente.

    Così una dolce malinconia ti prende, la melanconia dell’autunno, e sotto un larice, all’asciutto, cerchi anche tu un luogo dove accucciarti per meditare sulle stagioni della tua vita e sull’esistenza che corre via con i ricordi che diventano preghiera di ringraziamento per la vita che hai avuto e per i doni che la natura ti elargisce. Una mattina di dicembre vedrai il cielo uniformemente grigio, le montagne dentro le nuvole, i boschi piu scuri e, da una catasta d
    i legna, schizzar via lo scricciolo. II suo campanellino d’argento ti dirà prossima la prima neve.

    Mario Rigoni Stern