Il nostro Parlamento, prima la Camera e poi il Senato, ha votato la permanenza
del nostro contingente in Iraq, almeno fino a termine mandato cioè il
30 giugno, giorno nel quale si dovrebbe verificare il miracolo della cessione dei
poteri a un governo iracheno sotto il controllo dell’ONU. Cosa che personalmente
vedo come molto remota; spero fortemente di sbagliarmi.
Fatto salvo il principio che l’ANA è rigorosamente apartitica per cui non interessa
chi ha votato a favore e chi contro, cercherò di spiegare i motivi per cui, in
quanto alpini, ci si può dichiarare soddisfatti della decisione presa dal Parlamento.
La TV ha, giustamente, trasmesso tutti gli interventi dei rappresentanti dei partiti
che hanno esposto, chi in modo forbito, chi in modo aggressivo, le loro ragioni
pro o contro. Non è stato difficile accorgersi che le due parti contrapposte
non avevano neppure un argomento, sia pur marginale, in comune, fermi sulle
rispettive posizioni. Uno scontro che non è servito certamente a tenere alto
il morale dei nostri soldati schierati a Nassiriya.
Esprimo un concetto del tutto personale sostenendo che ho paventato fino all’ultimo
che le Camere si pronunciassero contro e obbligassero il Governo a un
rapido ritiro dei nostri soldati, imitando gli spagnoli che, duole dirlo, non hanno
fatto una gran bella figura.
Essi infatti rappresentavano la terza Nazione belligerante al fianco di USA e Inghilterra,
dunque con obblighi ben precisi verso i loro alleati: andandosene non
li hanno onorati. Al contrario tutti gli altri contingenti, e dunque anche il nostro,
erano subentrati solo per scopi umanitari dopo quel 1º maggio 2003 che, a
detta di Bush, rappresentava il termine delle ostilità, per cui i loro obblighi erano
rivolti agli iracheni per alleviarne le sofferenze.
Grave danno morale sarebbe occorso all’Italia se avesse lasciato il campo proprio
adesso, quando più è necessaria la presenza di contingenti garanti della
pace per evitare un bagno di sangue tra le opposte fazioni al momento del
cambio della guardia. Un bagno di sangue che è lì, dietro l’angolo, pronto a
scattare non appena le truppe dei 36 Paesi schierati in Iraq lasciassero quella
tormentata area. Sorprende che una parte del Parlamento non abbia tenuto
presente questo pericolo. Non è pensabile che tra etnie, nemiche fra loro da secoli,
con rancori mai sopiti anzi esaltati dal criminale governo di Saddam Hussein,
possano, di punto in bianco, fraternizzare e vivere in pace a comando, cioè
dal 1º luglio 2004. Credere questo non è ingenuo, è pericolosamente fuori dalla
realtà. Un esempio per tutti: Srebenica, in Kosovo, qualche anno fa, dove le
truppe olandesi dell’ONU rimasero inerti di fronte al massacro operato dai serbi
verso i mussulmani.
Ma c’è un altro motivo per essere soddisfatti, sempre come alpini amanti della
convivenza tra i popoli. Sappiamo che l’Italia, nel consesso delle Nazioni, non
gode sempre di buona stampa; quante volte abbiamo sentito l’irritante frase
che siamo un alleato inaffidabile?La storia purtroppo ci è contro: nel 1703, durante
la guerra di successione spagnola, il Duca di Savoia passò disinvoltamente
dal campo francese a quello spagnolo, nel 1914 denunciammo il patto di alleanza
con gli Imperi Centrali per schierarci con l’Intesa, l’otto settembre 1943
le Forze Armate furono poste di fronte a dolorose scelte dall’ambiguo comportamento
del governo in carica. Non avevamo certamente bisogno di un voltafaccia,
anche se l’abbandono degli alleati, questa volta, sarebbe stato di proporzioni
ben più modeste; è il principio che conta, non le proporzioni dell’accadimento.
La decisione del Parlamento, perciò, ha fatto sì che l’onore delle nostre
armi fosse salvo. Non è cosa da poco.
Rimaniamo, dunque: facciamolo per la popolazione locale che non chiede altro
che di vivere in pace, facciamolo perché così vuole la nostra civiltà di europei,
facciamolo, specialmente, per non tradire la memoria dei 21 italiani Caduti
nell’adempimento del dovere.