L'ospedale da campo ANA a Kinniya: un'oasi di salvezza dopo la tragedia

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    Consuntivo della missione nello Sri Lanka dei nostri medici, infermieri e tecnici in un territorio devastato dallo tsunami che ha provocato centinaia di migliaia di vittime.

    di Ugolino Ugolini

    Tra pochi giorni sarà trascorso un anno dai tragici momenti in cui gli effetti del maremoto originatosi nell’Oceano Indiano, hanno causato morte e distruzione in molti paesi del Sud Est asiatico, ed ancora quasi una anno dal giorno in cui aveva anche inizio l’ultima missione, in ordine di tempo, dell’Ospedale da campo della Associazione Nazionale Alpini. Alle ore 14 del 12 gennaio 2005, un C 130 J della 46ª Aerobrigata di Pisa con a bordo le prime componenti della struttura sanitaria campale ed un nucleo di suoi 5 esperti logistici, decollava dall’aeroporto militare di Orio al Serio Bergamo.

    Il carico di uomini e mezzi era diretto a Colombo, capitale dello Sri Lanka, sulla costa sud occidentale di questa grande isola, per poi raggiungere via terra, attraversando l’intero paese con un viaggio disagevole di circa 12 ore, Kinniya, uno dei paesi più devastati dallo Tsunami, posto sul promontorio prospiciente la città di Trincomalee, capoluogo della omonima Provincia del Nord Est. L’onda anomala arrivata improvvisamente dal mare nel giorno di Santo Stefano del 2004, aveva provocato in quell’area circa 1000 tra morti e dispersi e causato, lungo un chilometro della fascia costiera, non solo la distruzione delle abitazioni, delle barche e delle già modeste infrastrutture dedicate alla pesca, ma anche dell’ospedale locale.

    La calamità si era abbattuta in un contesto economico già molto precario in cui una significativa parte della popolazione viveva sotto la soglia della povertà. Inoltre anche la situazione sociale e quella politica erano, e sono ancor oggi, rese più difficili dalla precarietà degli equilibri fra le diverse etnie; soprattutto nelle regioni settentrionali sede del nostro intervento reso, per questo motivo, oltre che faticoso anche rischioso.

    Erano trascorse sole 18 ore dalla definitiva attivazione ricevuta dal dipartimento della Protezione civile e per l’Ospedale da campo A.N.A., iniziava una nuova missione che sarebbe durata 7 mesi con personale totalmente volontario, per poi continuare, ed è tuttora in corso nell’ambito della Cooperazione Internazionale, attraverso la collaborazione con l’Associazione Italiana per la Solidarietà fra i Popoli (A.I.S.P.O.).

    Dopo le missioni all’estero, in Armenia nel 1988 89, in Albania nel 1999, gli aiuti al Kosovo nel 2000, l’intervento a Beslan, Ossezia, nel settembre 2004 e le numerose operazioni in Italia negli ultimi 20 anni, al nostro ospedale campale veniva ora affidato l’importante compito di allestire le proprie strutture a Kinniya, per ripristinare, con i propri volontari, quella assistenza interrottasi improvvisamente e drammaticamente con la distruzione dell’ospedale locale tra le cui macerie hanno trovato la morte medici, infermieri e pazienti.

    Questo ospedale distrettuale, costruito poco distante dalla riva del mare per permettere un più comodo accesso alla popolazione abituata ad usare la barca per i propri spostamenti, era dotato di circa 100 posti letto, articolati in una degenza di medicina per gli uomini ed una per le donne ed in vari ambulatori fra cui quello ostetrico e materno infantile; ad esso facevano riferimento circa 85.000 persone di cui il 40 costituito da giovani di età inferiore ai 15 anni. Il 14 gennaio 2005 seguiva, sempre con partenza da Bergamo, il primo staff sanitario, formato da 4 medici ed altrettanti infermieri, guidato dal dr. Carlo Saffioti, medico psichiatra veterano del Gruppo Intervento Medico Chirurgico (G.I.M.C.) avendo partecipato a tutte le sue missioni più importanti sia in Italia che all’estero.

    Del gruppo faceva parte una equipe specializzata in pediatria dell’Ospedale San Raffaele di Milano che dava inizio, in questo modo, ad una importante e stretta collaborazione con l’Ospedale da campo durata per tutta la missione e che continua tuttora nell’ambito della cooperazione internazionale. A questo primo contingente il difficile compito, portato a termine nel migliore dei modi ed in breve tempo, di allestire i primi moduli della struttura campale su di un’area già predisposta ad opera degli alpini della Sezione di Latina e dai Vigili del Fuoco coordinati dal Responsabile in sede del Dipartimento della Protezione civile Piero Moscardini, inoltre di allacciare i rapporti con i responsabili del Servizio Sanitario locale ricevendone le istanze più urgenti e di prendere contatti con la popolazione iniziando l’attività sanitaria.

    Questa ha coinvolto, fin dall’inizio, i medici e gli infermieri del posto invitati, come è consuetudine nelle nostre missioni, a prestare la loro opera negli ambulatori appositamente allestiti nell’Ospedale da campo. Con il secondo gruppo, partito il 31 gennaio, tutti i moduli previsti dal dipartimento della Protezione civile venivano montati e completati, rendendosi tuttavia necessario incrementare la struttura e le dotazioni con arredi improvvisati e realizzati sul posto grazie all’iniziativa ed all’inventiva dei nostri logisti.

    Al termine dell’allestimento, l’Ospedale da campo degli Alpini veniva ad essere, ed è, costituito in quanto ancor oggi funzionante, da 5 moduli in tensostruttura che ospitano gli ambulatori con il pronto soccorso H.24, la sala parto e le degenze a cui si aggiungono le tende con la radiologia ed il laboratorio analisi. Si prevede che l’intero complesso dovrà essere operativo ancora per lungo tempo, in attesa che venga costruito il nuovo ospedale locale, donato dall’Italia, la cui posa della prima pietra è avvenuta nel marzo scorso.

    I turni, della durata di 21 24 giorni, nella maggioranza dei casi erano formati da 20 volontari così suddivisi: 7 medici specialisti, 1 biologo analista, 5 infermieri, una ostetrica e un tecnico di radiologia. Completavano il gruppo 5 tecnici logisti, fra i quali vanno contati i volontari del gruppo di Protezione Civile dell’Azienda Elettrica Municipale (A.E.M.) di Milano, il cui contributo è stato molto importante per garantire la continuità di questa componente operativa nelle varie équipes.

    Complessivamente nei turni avvicendatisi dal gennaio al luglio 2005, hanno prestato la loro opera a Kinniya 144 fra sanitari, tecnici e logisti provenienti da diverse regione e da molte provincie italiane. Oltre che da Bergamo, dove si trovano la sede stanziale e quella operativa dell’Ospedale da campo, hanno partecipato alla missione volontari provenienti da Pisa (Gruppo di Chirurgia d’Urgenza), Trieste (Gruppo Medico Pediatrico), Milano (Ospedale San Raffaele), Udine, Tolmezzo, Gemona del Friuli, Genova, Caserta, Terni, Reggio Emilia, Varese, Aosta, Lecco, Mestre, Crema, Treviso, Rieti, Pavia, Roma, Latina, Parma.

    L’attività sanitaria è stata molto intensa e gli inevitabili disagi ambientali (caldo torrido, umidità, piogge monsoniche, trasferimenti quotidiani disagevoli . zanzare) che sono stati anche la causa della infezione tropicale contratta da due nostri volontari, sono sempre stati ampiamente ripagati dalle dimostrazioni di stima e gratitudine di cui tutte le équipes, l’Italia e l’Associazione degli Alpini, ogni giorno ed in numerose occasioni sono state oggetto. Uomini e donne, vecchi e bambini, in lunghe file sempre ordinate e silenziose, attendevano pazienti ogni mattina l’apertura dei vari ambulatori per essere visitati, curati o medicati dai medici italiani, sostando sotto un tendone steso all’ingresso dell’ospedale per ripararsi dal sole.

    Vestiti tutti dignitosamente, soprattutto i bambini e le donne in variopinti sary spesso di foggia diversa secondo l’etnia (Sinhala 74 e Tamil 18 ) o la religione (Islamica, Induista, Buddista e Cristiana) giungevano da ogni parte del distretto di Trincomalee, uno fra i più poveri della provincia del Nord Est. Altrettanto significativa ed ugualmente gratificante, al pari del rapporto cordiale instauratosi con la popolazione, è stata la col
    laborazione, maturata in un clima di reciproca stima e fiducia, fra i nostri sanitari e quelli locali. Si è soliti sottolineare come i numeri siano di per sé aridi e poco adatti per descrivere una missione dai prevalenti contenuti umanitari, tuttavia diventano indispensabili per dare un’idea di ciò che è stato fatto nell’Ospedale da campo dell’A.N.A. a Kinniya.

    Le prestazioni che, nel corso dei 7 turni avvicendatisi nei primi 6 mesi, sono state fornite alla popolazione dai sanitari italiani, assommano a circa 15.000 di cui 5.727 chirurgicotraumatologiche, 4.808 internistiche, 2.578 pediatriche e 775 ostetrico ginecologiche; a queste vanno aggiunti oltre 200 interventi urgenti di Pronto Soccorso, con necessità, per 76 dei casi più gravi, dopo adeguata stabilizzazione, di trasferimento presso l’ospedale regionale di riferimento di Trincomalee. Complessivamente sono state eseguite 674 radiografie, 864 ecografie ed effettuati più di 7.000 esami di laboratorio.

    Nella sala parto, allestita in tempi brevissimi e dotata di moderne apparecchiature sia per il controllo della vitalità del feto che per la assistenza del neonato a rischio, come la culla termostatica e l’isola neonatale, sono nati 298 bambini. Negli ambulatori messi a disposizione, hanno svolto quotidiana attività anche i medici locali per cui il numero dei pazienti che complessivamente si sono presentati all’Ospedale da campo dell’A.N.A, è molto più alto e, pur non disponendo di dati precisi, può essere calcolato con buona approssimazione oltre i 30.000.

    Fra le iniziative sviluppate, molto importante e con un probabile seguito, vi è stato lo studio intrapreso dai nostri specialisti del settore, sulle condizioni igienico sanitarie dei campi profughi, per quanto concerne la gestione dei rifiuti e degli scarichi fognari, gravissimi ed attuali problemi, e dell’approvvigionamento idrico, l’igiene personale, quello degli alimenti e della collettività. Alla luce di quanto descritto e documentato, se non solo il numero delle prestazione sanitarie ma anche il loro livello qualitativo ha ricevuto apprezzamenti e riconoscimenti per i risultati ottenuti, lo si deve soprattutto alla grande professionalità e sensibilità di tutti i sanitari animati da uno stesso encomiabile spirito umanitario.

    Se l’opera di soccorso ha potuto avere inizio già dopo pochi giorni dall’arrivo della prima equipe a Kinniya, se è proseguita grazie all’ampliamento strutturale realizzato in tempi altrettanto brevi, se il lavoro di tutti è proceduto nel migliore dei modi e senza intoppi è stato grazie all’assistenza continua ed instancabile dei logisti, alpini e non, presenti in ogni turno, e se le carenze organizzative e strutturali sono state sempre brillantemente superate, ciò è ancora dovuto alla loro inventiva e capacità tutta italiana di affrontare e superare le difficoltà.

    Gli alpini, pur non potendo portare il cappello con la penna perché scoraggiati dal troppo caldo, spesso il termometro raggiungeva e superava i 40 gradi, esprimevano lo spirito associativo che li animava attraverso una inconfondibile generosità, una instancabile disponibilità ed una ingegnosa operatività. Essi, in questo modo hanno destato l’ammirazione e riscosso la stima non solo di tutti gli altri volontari italiani ma anche degli appartenenti alle numerose Organizzazioni non Governative (O.N.G.) internazionali, che hanno conosciuto la straordinaria realtà dell’Ospedale da campo della Associazione Nazionale Alpini a Kinniya.

    Il successo di questa missione deve essere riconosciuto allo staff della Direzione nelle sedi operative di Bergamo, alle sue componenti sanitaria, logistica ed amministrativa e all’Ufficio di Segreteria. Un ruolo molto importante hanno avuto il nucleo farmacisti, supportato dalla Farmacia Interna degli Ospedali Riuniti di Bergamo ed il team dei medici igienisti e veterinari dell’A.S.L. di Bergamo. Tutte figure indispensabili, instancabilmente attive fin dai primi concitati momenti della mobilitazione, perché questa impresa iniziasse e procedesse senza intoppi, supportata da una organizzazione, agile, efficiente ed efficace.