Incontri ravvicinati

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    Come una fantastica macchina capace di viaggiare a ritroso nel tempo, così decine di migliaia di alpini tornano nel periodo dorato dei vent’anni in una provincia che li vide sui sentieri di questi monti con in spalla lo zaino che oggi è solo carico di ricordi. Tutto sarà attuale, a Bolzano e nelle altre città e nei paesi la cui storia si confonde con quella dei reggimenti, dei battaglioni e dei gruppi alpini che hanno ospitato. 

    E poco importa se tante caserme sono silenziose e vuote, basterà la memoria per animarle, richiamare il volto dei compagni, del tenente, del capitano, lo scalpitìo dei muli, le voci dei conducenti, i richiami del sergente, le grida del caporale, i canti… E non sarà difficile trovare i compagni di naja, forse anche i comandanti di allora, chiamati ancora “signor tenente” o “signor capitano” anche se oggi sono colonnelli o generali o in pensione. Anche a loro farà piacere essere benevolmente degradati, perché il richiamo ai ricordi fa bene al cuore.

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    Incontri ravvicinati, dunque, a Bolzano. Città crocevia di culture e di storie, città di confine e di unione, città tra i monti con le sue ricchezze e le sue contraddizioni. Dovute, racconta lo scrittore pusterese Claus Gatterer, ad una sorta di “inimicizia ereditaria” che contrappone genti diverse destinate a convivere in questa terra, bellissima e felice, la cui storia non ha mai avuto confini, perché non a caso era definita “terra di mezzo”, ed ha assorbito il meglio di quello che l’ha attraversata nel tempo. Così, ecco il periodo dell’incastellamento, con manieri affrescati dalle diverse scuole che si ispirarono alle pitture gotiche, al periodo cortese, alla scuola giottesca e al modismo. E case medievali accanto a palazzi rinascimentali che un tempo furono dimora delle tante famiglie fiorentine di mercanti che a Bolzano avevano la sede per i propri commerci con il Nord e l’Est europeo. Ed i vari musei che, ricostruendo le testimonianze, percorrono il tempo dal neolitico all’arte moderna.

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    Certo, c’è chi, in un momento in cui sono cadute le barriere fra gli stati, preferisce ispirarsi ancora a divisioni ed ideologie condannate dalla storia, paladino tardivo di regimi che gettarono l’Europa nell’inferno della guerra, privo d’una memoria che dovrebbe invece indurlo al silenzio. Gli alpini sono generosi, non nutrono rancori, preferiscono un’altra chiave di lettura che è nel loro DNA: quella della convivenza e della pace, del rispetto dei modelli di vita diversi e perciò ricchi di reciproci apporti, della solidarietà, come evidenziano le loro missioni all’estero che li distinguono da tutti gli altri militari, e come hanno dimostrato in caso di calamità, anche in questa provincia, quando sono accorsi senza chiedere quale lingua parlasse la gente, perché a loro bastava sapere che aveva bisogno di essere aiutata.

    Lo stesso spirito con il quale, il 6 settembre 1920, gli alpini che avevano commemorato i loro morti sull’Ortigara, durante quella che è passata alla storia come prima Adunata (che allora si chiamava “convegno”) andarono a deporre una corona al monumento che, in località Colavini, ricorda i Caduti austro-ungarici. Ed è ancora con lo stesso spirito – come suggerisce lo stesso Consiglio Direttivo Nazionale fra le motivazioni della scelta dell’Adunata a Bolzano, sede del Comando Truppe alpine – che andremo a onorare i Caduti che riposano nel cimitero militare di San Giacomo, italiani, austriaci e tedeschi, accomunati dal sacrificio della vita per la bandiera in cui credevano. Tutti meritano rispetto e vanno onorati nel corso di celebrazioni che gli alpini organizzano durante l’anno ovunque ci siano cimiteri militari.

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    A Bolzano, dunque, capoluogo d’una provincia nella quale sono passati centinaia di migliaia di alpini – di lingua italiana e tedesca – accolti sempre con simpatia dai cittadini e che ha tuttora a Brunico, San Candido, Vipiteno e Merano reggimenti alpini. Sarà una festa. **