Un alpino nella terra dei cedri

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    Generale Paolo Serra, è nuovamente ora di chiudere lo zaino…

    Esatto, ma da buon alpino, lo zaino è sempre pronto in un angolo, affardellato con i nostri sentimenti e le nostre tradizioni, oltre che con i materiali essenziali per vivere, muovere e combattere in ogni ambiente operativo. La chiamata questa volta è fatta dall’ONU e decisamente non ci si poteva non farsi trovar pronti!

    Ci parli della missione delle Nazioni Unite in Libano, della quale da poco é diventato comandante.

    Una missione estremamente importante e delicata, che prende il nome di UNIFIL II e che si basa sull’implementazione della Risoluzione delle Nazioni Unite n. 1701 dell’agosto 2006, quando al termine della cosiddetta “guerra dei 33 giorni” venne chiesto ad Israele di rientrare a sud della “Blu Line”, (una linea individuata nel 2000 come linea di ripiegamento delle forze israeliane al termine dell’offensiva di quel periodo, che delimita il sud del Libano – parte della Siria ed il nord d’Israele), dopo essersi scontrato con la milizia di Hezbollah nel corso del breve ma sanguinoso conflitto del 2006. Per tenere operante il “cessate il fuoco”, le Nazioni Unite promulgarono una Risoluzione che, con il consenso delle parti, dava mandato a circa 15.000 uomini provenienti da oltre 30 Nazioni di entrare nella porzione di Libano, compresa tra il fiume Litani a nord e la Blu Line a sud, al fine di permettere il ripiegamento di Israele ed il successivo schieramento di Forze regolari dell’Esercito Libanese. Al fine di facilitare il sostentamento della popolazione civile, veniva assicurata anche l’apertura di corridoi umanitari, e, per impedire l’ingresso di armi non autorizzate nell’area interessata, veniva autorizzato il controllo dei valichi di frontiera.

    Il Libano è sempre stato un’area di scambio commerciale e di cultura fra oriente ed occidente, come si è arrivati a questo stato di tensione?

    Dice bene, direttore. Il Libano già dai tempi dei fenici era considerato il ponte naturale fra la cultura ed i commerci occidentali e quelli del vicino e Medio Oriente. Poi nel 64 a.C., l’imperatore Pompeo ne completa l’annessione, trasformando l’allora “Fenicia” in provincia romana: Berito, l’attuale Beirut, si pone subito come anello di grande scambio commerciale, mentre Baalbek come sontuoso e ricercato luogo di culto. Verso la metà del 600 d.C. con la caduta di Roma, l’area della Siria e del Libano cadono sotto l’influenza degli arabi con la conseguente islamizzazione dell’area meridionale del paese, mentre il nord rimane fortemente cristiano maronita.

    Nell’anno 1100, circa, Papa Urbano II indice la prima crociata che porterà ad una guerra interna lunga oltre 100 anni fra i maroniti – fedeli alla Chiesa di Roma – e coloro che non ne riconoscono il potere temporale, con conseguenza di un generale indebolimento del fronte cristiano a favore di altre confessioni, quali Drusi, Sciiti e Sunniti. Successivamente tutti cederanno la propria indipendenza a favore dell’impero ottomano nel 1516. Più o meno nello stesso periodo, la vicinanza fra i rappresentanti di alcune famiglie latifondiste e la Firenze del Rinascimento, faceva sì che venisse importato dall’Italia l’allevamento del baco da seta, che estrometteva altre colture meno redditizie ma non meno importanti come quelle relative al grano ed al frumento. Sotto l’impero Ottomano continuavano intanto innumerevoli faide tribali per la supremazia, con colpi di Stato, soffocati da feroci repressioni o da interventi esterni, come quello delle forze egiziane, a cui seguiranno rivolte popolari e forti oppressioni sino al termine della prima guerra mondiale, quando alla conferenza di Sanremo del 1920, la Francia assumerà il protettorato della Regione.

    La Costituzione del 1926 assegna alla suddivisione tra le cariche istituzionali del confessionalismo religioso, il mantenimento dell’equilibrio politico: così il presidente dovrà essere scelto fra i cristiano maroniti, il primo ministro fra i Sunniti e il portavoce della camera fra gli Sciiti. Nel 1943 il “Grande Libano” si oppone al governo di Vichy operante in Francia, e viene dichiarata l’indipendenza sia dalla Siria sia dalla Francia, ma nel 1948 scoppia nuovamente la guerra. Seguono: nel ’53 l’apertura al voto a favore delle donne e nel ’56 la nazionalizzazione del Canale di Suez, con la seguente riunione della Lega Araba a Beirut e l’invio dei primi osservatori ONU nell’area medio-orientale. Fa seguito un ventennio di conflitti interni, che coinvolgono anche la Siria e gruppi armati interni che sfociano nel 1978 alla creazione di UNIFIL.

    Gli anni Ottanta sono anni di grande trasformazione per l’area medio-orientale, ricordiamo la presa di potere della rivoluzione islamica in Iran o l’invasione israeliana del Libano nel 1982, con la conseguente creazione di milizie religioso- politiche come quelle sciite di Amal ed Hezbollah per la difesa del territorio, e la conseguente immissione in Libano di bersaglieri e paracadutisti italiani sotto l’egida della “Multi National Force”. La componente nazionale retta dal gen. Angioni, consentirà il ripiegamento delle forze esterne e garantirà, per alcuni anni, il ritorno alla normalità. I conflitti tra Amal e la componente palestinese presente nei campi profughi, però continuano a turbare la stabilità della Regione e nel 1987 la Siria schiera nuovamente proprie Unità all’interno del Libano, creando i presupposti per una nuova guerra che vedrà schierati da una parte le forze siriane e dall’altra la “milizia delle forze libanesi” in quella che verrà successivamente indicata come “Guerra di Liberazione”.

    Il 22 ottobre 1989 nella cittadina di Ta’jf in Arabia Saudita, viene firmata la “carta di concordia nazionale” assicurando così un nuovo periodo di stabilità. Nel 2006, e siamo alla cronaca, il rapimento di un militare israeliano da parte di esponenti estremisti libanesi, induce Israele a penetrare con la forza nel sud del Libano. Segue circa un mese di combattimenti fra le milizie filo-sciite di Hezbollah e le forze di difesa israeliane, a cui fa seguito la Risoluzione ONU 1701 e l’ingresso in Libano del gen. Graziano, già comandante della brigata alpina Taurinense in Afghanistan ed attuale Capo di SM dell’Esercito, al comando di circa 12.500 caschi blu di 34 Nazioni, col compito di mantenere la sicurezza della zona, facilitare il ripiegamento delle forze di Israele a sud della linea di demarcazione (denominata Blu Line) ed assicurare la monitorizzazione del cessate il fuoco.

    Adesso dopo i due anni di comando a cura del generale Asarta, dell’esercito spagnolo, le UN hanno chiesto all’Italia di riacquisire la posizione di FC/HoM, (Force Commander e Head of Mission), significando che le due cariche militare e politica si unificano in una sola persona al fine di meglio sfruttare le sinergie delle varie componenti operanti nell’area.

    Una storia affascinante, ma torniamo ai giorni nostri, Lei parla di “varie componenti” che concorrono alla missione, a cosa si riferisce?

    Beh dalla “caduta del muro” di Berlino le operazioni di mantenimento della pace, o “peacekeeping”, hanno avuto una netta evoluzione e possiamo dire di aver imparato molto dalle pregresse esperienze. Faccio un esempio, nelle missioni ONU, precedentemente agli anni ’90 si parlava di “osservazione, supervisione o interposizione” quali compiti svolti dai militari, mentre la componente politico-diplomatica o quella economico-industriale, si muovevano separatamente. Adesso si tratta di un approccio “integrato”, che va addirittura oltre all’ormai noto “approccio comprensivo” che ci vedeva protagonisti in Afghanistan, quali forze operanti sulle tre direttrici di “sicurezza – ricostruzione e governabilità”.

    Le caratteristiche che connotano una Missione ONU a differenza di altra svolta sotto egida NATO, e che ritengo siano importanti da mettere in evidenza, sono quelle legate al “consenso delle parti” ed alla “legittimazione” data dalla presenza della comunità internazionale. In pratica il “consenso delle parti”, assicura una certa dose di buona volontà, dichiarata dalle parti contrapposte, di sottostare alle regole imposte dalla comunità internazionale, mentre la autorevolezza della Risoluzione è rinforzata dalla “legittimazione” offerta dalla presenze di truppe internazionali offerte dalle Nazioni contribuenti sotto la stessa Risoluzione. Ma, come detto, l’integrazione può esprimersi solamente se unitamente all’impegno militare è presente un analogo sforzo politico-diplomatico, e che entrambi siano sostenuti da una cospicua componente che miri allo sviluppo anche economico della Regione, e lo staff dell’ONU dispone infatti, all’interno del proprio organico, di un team dedicato a questa basilare funzione.

    Generale ci dica qualcosa sulla “Blu Line” e su cosa ci si può aspettare dall’evolversi della situazione.

    La “Blu Line” è una striscia di terreno, ampia fino a 50 metri, lunga sul terreno circa 120 chilometri, a cui si sommano ulteriori 12 miglia di mare antistante la costa, che separa il sud Libano dal nord Israele e da parte della Siria. Del problema dell’attraversamento, anche involontario, della “Blu Line” e delle conseguenze inimmaginabili di una sconfinamento militare, si è ben consapevoli, così si pensò di delimitare questa linea virtuale disegnata su vecchie mappe che corrispondeva grosso modo ad un confine mai concordato, con dei marcatori ben visibili, realizzati con una base in cemento su cui possano venir innestati piloni metallici culminanti con grossi bidoni colorati in azzurro e contrassegnati dalla scritta UN.

    L’area a cavaliere della BL è però tuttora da considerarsi come interdetta, sia dai campi minati seminati dai Libanesi, sia dall’effetto “grappolo” delle bombette inesplose prodotte dal fuoco delle artiglierie delle forze israeliane. In questa “zona grigia” operano con grande impegno gli sminatori dell’Esercito e delle organizzazioni civili, allo scopo di realizzare dei corridoi sicuri che possano consentire al personale ONU, delle forze armate libanesi e di quelle israeliane, di raggiungere, ognuno per la propria parte, i punti dove è stato concordato e si ritiene opportuno erigere un pilastro di controllo (Blue Pillar). Attualmente ne sono stati inaugurati un centinaio e si aspetta che il numero conclusivo sia vicino ai quattrocento.

    Da sottolineare la presenza di alcune aree, su cui le parti rimangono su posizioni fortemente non collaborative, come la suddivisione del villaggio di Ghajar, oppure la problematica delle fattorie Sheeba, sfortunatamente erette ed allargatesi nel tempo, in una zona poi diventata triconfinale ed attualmente disputate fra Libano, Siria ed Israele. Allargando il discorso, molti grattacapi potrebbero ancora venire da una definizione non politica della situazione dei Paesi limitrofi al Libano, dove i risultati della “primavera araba”, che ha rovesciato consolidati regimi in Egitto, Tunisia e Libia, non sono ancora definiti.

    Per il futuro, continueranno con la massima attenzione e determinazione sia l’opera di monitorizzazione del cessate il fuoco, sia le pattuglie svolte congiuntamente tra forze ONU e quelle delle forze armate libanesi per il controllo della zona e l’interdizione di eventuali traffici illegali di armi e munizioni, ma non mancheranno le note di biasimo diplomatico per eventuali attraversamenti aerei e sorvoli non autorizzati da parte Israeliana, e continueranno i controlli effettuati nell’area di responsabilità per sventare o ridurre la possibilità di lanci inconsulti di razzi contro il territorio Israeliano da parte di estremisti, così da cercare di far avvicinare sempre di più le posizioni contrastanti ed addivenire ad un accordo sulle zone disputate, a premessa del conseguimento della permanente cessazione delle ostilità.

    Grazie generale, in bocca al lupo!

    Grazie direttore, l’aspetto nel Paese dei cedri.

    (v.b.)