Il senso dello Stato

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    Il 5º reggimento Alpini è schierato nell’ampio piazzale della caserma Menini di Vipiteno, con la Bandiera di guerra e le compagnie pronte a partire per l’Afghanistan, un Paese antico sconvolto dalla guerriglia e dal terrorismo dove è a rischio, giorno dopo giorno, anche una missione umanitaria e di pace. Quei giovani che indossano la tuta da deserto e imbracciano fucili da combattimento lo sanno.

    Partono e vanno lontano, eppure tranne che per i due giornali locali tutto questo non fa notizia. Non fa notizia che i nostri giovani partecipino a missioni a elevato pericolo, che possano anche essere feriti o uccisi, non fa notizia il loro sereno senso del dovere, né fanno notizia le nobili parole del loro comandante, il col. de Fonzo e del comandante delle Truppe alpine gen. Novelli e i sacrifici, le ansie, la forza delle loro famiglie, di genitori, mogli, fidanzate. Fanno invece notizia quotidiana le annose e noiose schermaglie politiche, le discussioni a vuoto, la difesa degli interessi di parte, le accuse e gli insulti, le minacce di crisi, le apparizioni in tv

    A guardare quei giovani veniva da pensare quanto è lontana la nostra classe politica da questi alpini che hanno così profondo il senso del dovere, disposti a correre in silenzio i tanti rischi d’una missione piena di insidie. Due contrastanti immagini dell’Italia. Da un lato gli interessi di partito, spesso esclusivamente personali, e dall’altro il senso dello Stato e del servizio.

    Si dirà: ma i militari sono pagati per fare i militari, è una loro scelta che impone disciplina e obbedienza, ed il rischio fa parte del loro mestiere. Ci si dimentica che lo stesso vale anche per chi fa politica: i politici sono pagati (fin troppo, si incomincia a dire), non corrono rischi né fanno addestramento, hanno lo scompartimento riservato, non hanno lo zaino e qualcuno porta loro la borsa. Anche quella della politica è una scelta, che però comporta il servizio alla gente, prodigarsi per far avanzare il Paese, elevarlo allo stesso livello degli altri, puntare all’interesse collettivo più che a quello personale o del partito. Quanto siamo lontani da tutto questo.

    Eppure sono proprio quei giovani, con i loro comandanti, che tengono alto il nome dell’Italia. Lo stesso è avvenuto con i nostri emigranti, con i tanti alpini andati a cercar lavoro e fortuna all’estero.

    Da qualche anno a questa parte, gran parte del merito della considerazione di cui godiamo all’estero va soprattutto è amaro dire esclusivamente ai nostri militari, che si sono guadagnati sul campo la stima e l’ammirazione degli altri contingenti e della comunità internazionale. Basti pensare al comando affidato a ufficiali italiani in vaste aree di intervento in Iraq, Afghanistan, Bosnia e in Libano, la missione più recente, dove il generale Graziano è a capo della forza di interposizione delle Nazioni Unite.

    In un momento storico di caduta dei valori, in cui i modelli sono dettati dalle assordanti trasmissioni televisive che disegnano una vita di successo, ricca di esperienze e dei simboli d’una società spensierata e felice, i nostri alpini, e i militari degli altri Corpi che hanno scelto di servire il Paese in divisa, rappresentano l’altra faccia dell’Italia, quella del sacrificio e dell’altruismo, della fedeltà alle istituzioni, del senso del dovere e del senso dello Stato.

    Proprio quello che non riusciamo a vedere in tanta parte di coloro che ci rappresentano nelle istituzioni.