Il rispetto del cappello

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    Desidero riferirmi alla lettera “Il cappello negato”, n. 1 gennaio 2012, a firma del gen. Battista Beschin di Arzignano, che ripropone il rispetto per il nostro cappello. Ho apprezzato la sensibilità di Beschin e la risposta. La mininaja sembra consolidata come attività promozionale per incentivare i giovani a conoscere il glorioso Corpo e, eventualmente, preferirlo per un loro servizio militare. 

    La scelta di consegnare, al termine del breve periodo come ricompensa e riconoscimento, un cappello, mi sembra eccessiva e non sufficiente per guadagnare tale insegna. Personalmente, sono molto orgoglioso del mio cappello, che ho portato, nel 2001, al Polo Nord e nel 2003 al Polo Sud, estremi confini della Terra. Penso si tratti di “unico cappello” d’alpino al mondo che possa vantare tale primato.

    Antonio Vizzi – Aosta

    Bravo Antonio! Anche nelle imprese estreme col tuo cappello! E veniamo alla prima parte della lettera. Sul rispetto, e sulla ‘sacralità’ del nostro cappello non è il caso di aggiungere parole. Mi sia consentita tuttavia una riflessione. Sull’esperienza della mininaja, pur con dei distinguo, c’è una sostanziale concordanza nel riconoscere che avvicinare i giovani al nostro mondo è un fatto positivo. La bufera si scatena quando viene loro consegnato il cappello alpino.

    La Forza Armata, inutile ribadirlo, è legittimata a farlo. L’ANA, da parte sua, ha chiarito fin dalla prima esperienza, anche se non ce n’era bisogno, che per statuto si diventa soci se si ha prestato servizio nelle Truppe alpine per almeno due mesi. Ed ecco subito due eserciti agguerriti e contrapposti, secondo le nostre migliori tradizioni italiche: orrore nel vedere giovani entusiasti di portare un cappello ricevuto in poche settimane e dall’altra parte, scandalo perché l’ANA non li accoglie in barba a regole e statuti.

    Se invece di radicalizzare le posizioni prendessimo atto con serenità che i ragazzi della mininaja, per la vicinanza al nostro spirito, vanno accolti a braccia aperte? La loro penna è ancora corta e, come succedeva una volta, hanno bisogno e voglia di vederla crescere ‘imparando dai veci’.