Il disagio dei giovani

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    Ci voleva Pantani, tragicamente morto a Rimini, a riportare prepotentemente alla ribalta
    quello che da anni sentiamo trattare da tutti i mezzi di informazione e da tutti i conduttori dei non sempre costruttivi incontri televisivi, cioè che i giovani crescono senza più ideali: con la solita, scontata conclusione che la colpa è della società . Sarà anche vero, ma la società
    siamo tutti noi, genitori e insegnanti, sacerdoti e militari, politici e sociologi. In questi ultimi anni, tre al massimo quattro, abbiamo assistito ad agghiaccianti delitti compiuti da minorenni con una freddezza e un’indifferenza per la vita altrui da lasciare sconcertati.
    Basti ricordare Novi Ligure, Chiavenna nel sondriese e, due colpi in un solo giorno, il lavoro di coltello attuato a Porlezza nel comasco e dopo poche ore nel napoletano, da due diciassettenni, che hanno assassinato, per futili motivi, due giovani di cinque o sei anni più anziani menando fendenti con consumata abilità.
    Lascio ai superperiti e ai sociologi indagare, scrutare, sezionare l’animo dei giovani d’oggi. Chi scrive è ancora legato ai vecchi cànoni dell’educazione, quelli che, con buona pace di Markuse, prevedevano un buon scapaccione dato al momento giusto nel posto giusto dal genitore o dall’insegnante, senza che ciò facesse del ragazzo un deviato: anzi, è vero il contrario. Scopro l’acqua calda dicendo che la vera causa è da ricercare nel troppo benessere che si è abbattuto in tempi ristretti sulla società, nel troppo denaro circolante, nella noia del troppo tempo libero e, non ultima, la convinzione che ai figli si devono risparmiare
    tutte le fatiche e tutti i sacrifici che abbiamo affrontato noi .
    E così ecco che i piccolissimi vanno vezzeggiati in ogni maniera, allevandoli a merendine e bocconcini che la pubblicità sa imporre con arte demoniaca, ecco che i più grandicelli
    vanno accompagnati a scuola in macchina perché, povere creature, come si fa a fargli fare a piedi la distanza che li separa dalla scuola, ecco che i ragazzi sono abbondantemente
    foraggiati di denaro e che gli adolescenti godono di una libertà totale senza controlli e senza disciplina.
    E guai ad azzardarsi a proporre che le discoteche chiudano almeno alle due: i proprietari hanno pure i loro sacrosanti diritti. A dare il colpo finale ci hanno pensato i politici abolendo, senza batter ciglio, senza aver prima ben meditato sulle conseguenze, presi solo dalla smania di raccattare voti, il servizio di leva ultimo baluardo che si frapponeva sulla strada della libertà
    (ma quale?da cosa?) dei giovani. Eppure qualche risultato l’avrà pur raggiunto questo benedetto o maledetto servizio di leva nella loro formazione, non foss’altro introducendo nel loro animo il senso dell’obbedienza e quello della sopportazione.
    Ma dimenticavo: in tal modo è stata abolita una tassa fastidiosa, è stato tolto un cuneo dal fianco del giovane, secondo le felici espressioni di due parlamentari, dei quali uno, all’epoca, addirittura ministro della difesa. Per riassumere: ho sempre sostenuto che il fanciullo, prima di entrare nella vita dei grandi , doveva passare attraverso quattro livelli di educazione: i genitori, il parroco, l’insegnante, il capitano. Da essi egli apprendeva le regole del buon vivere, i principi morali, l’amore per la Patria. Oggi i genitori sono contestati quando non eliminati fisicamente, alcuni sacerdoti preferiscono lo spettacolo televisivo o la lotta politica alla conduzione della parrocchia, gli insegnanti fraternizzano con gli studenti rinunciando
    all’irrinunciabile rispetto che deve esistere tra docenti e discenti, i capitani sono esautorati
    nella loro funzione anche di educatori. Il risultato?Non occorre spendere troppe parole: Novi Ligure, Chiavenna, Porlezza, Napoli, Rimini. (C.D.D.)