Gli eroi di quota 176 a Nowo Kalitwa

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    Negli angosciosi giorni dell’offensiva sovietica sul Don, in Italia occorreva risollevare gli animi dei lettori e allontanare il presagio del terribile destino che attendeva la nostra Armata in Russia. Fu così che il pittore Walter Molino concepì la copertina de “La Domenica del Corriere” in uscita il 10 gennaio 1943, in modo da dare l’idea che i russi potevano ancora essere fermati.

     

    Per questo, ritrasse un epico contrattacco condotto nella neve dagli alpini del “Cividale” – che siano proprio loro lo si capisce dall’inconfondibile nappina verde! – che ebbero così il loro maggior spazio mediatico di sempre. Nonostante le pressanti esigenze di propaganda, Molino non ebbe però ad eccedere in immaginazione: in realtà solo qualche giorno prima a quota 176,2 Segnale presso Nowo Kalitwa, quegli alpini si erano coperti di gloria ricacciando per quattro volte i russi che, con ripetuti e furiosi attacchi condotti in incredibile preponderanza di uomini e mezzi, avevano strappato la posizione ai tedeschi e intendevano a tutti i costi consolidarsi su di essa.

    Fatto sta che quando il giornale uscì, la Quota era saldamente in mano italiana e rimase tale fino alla notte del 17 gennaio, quando giunse l’ordine di ripiegamento. Nel frattempo aveva cambiato nome: da “Segnale” a “Cividale”, come disposto dal generale comandante del settore, allibito dall’inimmaginabile valore degli alpini del battaglione. L’impresa costò la perdita di oltre 300 uomini, in tre giorni di combattimento. Da allora, tutti quelli che hanno servito nel battaglione, hanno saputo e sono stati profondamente fieri dei fatti di Quota 176,2. Nelle caserme di Cividale prima e di Chiusaforte poi, e ovunque si trovasse l’Unità in quel periodo dell’anno, il primo sabato di gennaio si celebrava la ricorrenza – dal 1975 divenuta festa di Corpo – con semplice solennità.

    I reduci di quelle Campagne, un tempo molto numerosi, erano puntualmente presenti, testimoni composti e silenziosi di un grande eroismo che nessuno si sognava di pensare potesse andare dimenticato. Il “Cividale” aveva uno stile tutto suo: assomigliava molto a quei reduci, sembrava volerne emulare la tenacia, la compattezza, la ferma combattività: sono in tanti a ricordarne i pochi fronzoli, i pieni risultati nell’addestramento e nelle operazioni, la logistica e l’organizzazione interna sempre efficaci, l’assetto esemplare. Uno dei suoi comandanti lo definì così nel suo ordine del giorno di commiato: “Bravi ufficiali, ottimi sottufficiali, meravigliosi alpini”….

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    A 17 anni dallo scioglimento del battaglione, alla data prefissata quegli alpini continuano a celebrare la festa di Corpo: convengono da tutta Italia (perfino dalla Sicilia) a Chiusaforte il sabato mattina e più massicciamente la domenica a Cividale, rendono onore ai loro Caduti, alzano la Bandiera nazionale, affollano la Messa, si ammassano e sfilano inquadrati nella Compagnia dove hanno prestato servizio, per cinque e… quasi tutti al passo.

    Quest’anno se ne sono contati circa 6.000, gli anni passati i numeri sono stati di poco inferiori, ma mai meno di 3.000. In mezzo a loro, purtroppo e dolorosamente in numero sempre minore, i reduci ormai ultranovantenni con i loro cappelli di allora logori e sdruciti, le decorazioni e il mitico distintivo con i due cangiarri incrociati, festeggiati e guardati con ammirazione da tutti, inclusi i più giovani, che si avvicinano loro con riconoscenza e grande rispetto. E non finisce qui: la gente di Cividale è tutta per le strade, nella piazza dove si svolge l’alza e l’ammainabandiera e lungo il percorso della sfilata, applaude, ascolta i commenti dello speaker che con giusta enfasi racconta ancora una volta la storia lontana e vicina di quello che tutti in città e nel mandamento continuano a considerare il battaglione di casa. Così, anche quando la temperatura è decisamente invernale e la Bora soffia giù dalla valle del Natisone: basta vestirsi tutti un po’ di più. In ogni caso, è niente rispetto al clima e alle folate di vento gelido di 70 anni fa tra il Don e il Kalitwa.

    Non mancano le autorità civili e militari degli eventi più importanti nell’ambito della Regione: quest’anno il prefetto di Udine Salemme, di Gorizia Marrosu, i sindaci di Cividale e di Chiusaforte con i rispettivi gonfaloni, e quelli alpini e non alpini di moltissimi Comuni friulani e giuliani, parlamentari nazionali, rappresentanti della Regione e delle Provincie, il comandante della brigata Julia, gen. B. Manione, il suo vice, col. Piovera, il suo CSM col. Montalto e il comandante dell’8° reggimento Alpini, col. Merola, con molti ufficiali e sottufficiali in servizio, anche ex del battaglione. Numerose e qualificate le rappresentanze delle Forze dell’ordine. Per il presidente nazionale Corrado Perona era presente il consigliere nazionale Renato Cisilin.

    Numerosa la presenza delle Sezioni ANA non solo dal Friuli e dal vicino Veneto, ma anche dalla Lombardia, dall’Emilia, dal Piemonte e dalla Toscana, con tantissimi vessilli ed un mare di gagliardetti. Come ogni anno, la cerimonia si è conclusa nel cortile della caserma Francescatto, sede del comando dell’8° Alpini, con l’onore ai Caduti del Reggimento, ai quali si è purtroppo aggiunto negli ultimi mesi il caporale maggiore scelto Luca Sanna. Alla sua memoria e alla limpida figura del caporale maggiore Luca Barisonzi, gravemente ferito nella stessa circostanza, è andato il pensiero riconoscente dei presenti. Prima dei discorsi ufficiali, secondo tradizione è risuonato il rintocco della campana della memoria e del dovere, azionata con mano ferma e sicura dal caporale Agostino Floretti, classe 1920, uno di quelli di Quota Cividale. Infine, nella stessa caserma, il rancio per parte dei convenuti, dove si è sfogata l’allegria alpina, disciplinatamente contenuta fino a quel momento in ossequio alla solennità della manifestazione. Gli altri, in gruppi di commilitoni, hanno sciamato per le trattorie tipiche della zona. Ciononostante, all’imbrunire in piazza del Duomo erano presenti per l’ammainabandiera diverse centinaia di radunisti.

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    Questi gli antefatti e la cronaca di un fenomeno che indubbiamente ha del singolare. Sono molti infatti a chiedersi come mai questo attaccamento che la vince sul tempo. Sbrigativamente, si potrebbe rispondere argomentando sulle ragioni di un reclutamento regionale più sentito che da altre parti o sul richiamo esercitato da una inusuale manifestazione alpina fuori stagione. Forse, però, ci sono cause più profonde e lontane, che risalgono proprio alle vicende, alle figure e al conseguente modo di essere (oggi si dice stile di vita) che hanno connotato quell’irripetibile Unità, dal dopoguerra al suo scioglimento.

    Nel 1949, la ricostituzione a Cividale, con Quadri del vecchio battaglione e alpini del posto, l’emergenza “T” sul tratto friulano della frontiera italo-jugoslava; una decina di anni dopo, il trasferimento a Chiusaforte, nella caserma “Zucchi” di nuova e moderna costruzione; trentadue anni lì, in una zona di montagna a due passi dal confine, non certo ricca né alla moda; le operazioni di soccorso in occasione di due terremoti, quello del Friuli del 1976 con esigenza di autosoccorso, e quello del 1980 in Irpinia, dove il battaglione vi rimase per cinque mesi, apprezzato dalla popolazione. Infine la straordinaria esperienza della Missione sotto egida ONU Mozambico, nel 1994.

    Tutte circostanze che hanno favorito la coesione e l’afflato tra tutte le componenti dell’Unità e messo alla prova le capacità di svolgere al meglio il proprio dovere. Il naturale avvicendamento degli ufficiali e della truppa era compensato dalla presenza ormai annosa di figure carismatiche dei sottufficiali anziani, come i marescialli Moretti e Taddei, ben in grado di indicare a tutti e permanentemente la via della rettitudine e del dovere e di favorire il rispetto delle tradizioni. Una sede senza distaccamenti e un’ottima caserma (la “Zucchi” fu ricostruita in buona parte dopo il terremoto del 1976, diventando un modello per tutto l’Esercito) favorivano il benessere e la coesione del personale, scoraggiato oltre a tutto dalle distanze da coprire per raggiungere luoghi più attraenti e popolati.

    L’efficienza della macchina nuova, lubrificata e ben manutenzionata era cosa di tutti, e allora dalla leva si potevano attingere le risorse migliori. Il risultato è evidente ancor oggi: lo speciale legame creatosi in un ambito che a tanti era sembrato inizialmente duro, per poi diventare del tutto sostenibile e anzi motivo di orgoglio, è rimasto stretto. Nei raduni del “Cividale” si respira aria di famiglia, vige il rispetto e la compostezza, alligna la solidarietà, nascono e si sviluppano iniziative meritevoli di considerazione. Di questi ultimi aspetti, è artefice e protagonista l’Associazione “Fuarce Cividât”, che dalla soppressione del reparto, raggruppa e rappresenta gli ex appartenenti e i simpatizzanti del battaglione.

    Bruno Petti
    generale di C.A., già comandante delle Truppe alpine