Emergenza

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    Emergenza. Ormai questa parola ha perso ogni significato. Sbarchi di clandestini, carceri sovraffollate, rifiuti, spread, malavita, malcostume o calamità e potremmo continuare con le opere d’arte fino alle pale per lo sgombero delle strade e tutto diventa emergenza. Pochi centimetri di neve bastano a paralizzare la capitale e a far tremare i palazzi. Cose da far uscir di senno le persone di buon senso, ma tranquilli: fra qualche mese le azalee di Trinità dei Monti riporteranno serenità sui colli della Città Eterna.

    Eppure non sono pochi i cittadini di buon senso che avvertono un moto di ribellione a questi giochetti allo scaricabarile quando succede qualcosa un po’ fuori norma. Non andiamo con la memoria ai sette metri di neve caduti sui combattenti dell’Ortigara nel 1917 o alle unità di misura della bianca coltre usate ancora oggi dalle mie parti (Altipiano dei Sette Comuni, n.d.r.), ma estensibili a tante realtà italiane: “una scarpa, un denocio (ginocchio), o alta un omo”. E non parliamo del Giappone dove rientrano nella normalità scosse di terremoto che sconvolgerebbero intere regioni italiane.

    Si dirà che non sono situazioni comparabili perché tempi e ambienti sono diversi. Verissimo, purché si riconosca che è quasi sempre l’uomo il primo protagonista della gestione delle situazioni critiche. Difficile comprendere le convulsioni dei responsabili della cosa pubblica generate dalla lettura dei bollettini meteo, nonostante avvertano con precisione di tutto quello che scende dal cielo e del freddo che farà. È incontestabile che la vita d’oggi è complicata dalle nostre comodità. Le strade devono essere sgombre, i treni funzionare; la corrente elettrica, il gas, i medicinali e via dicendo non possono mancare. Ma il problema non è la neve: sono coloro che hanno la responsabilità di governare il benessere che abbiamo raggiunto.

    Non neghiamo che spesso ereditano situazioni disastrose sotto il profilo organizzativo e non dispongono di uomini e mezzi sufficienti a fronteggiare le crescenti richieste dei cittadini. È altrettanto vero che siamo lontani dalla saggezza antica che sapeva misurarsi con gli eventi organizzandosi con lungimiranza e utilizzando con parsimonia le risorse della collettività. Manca una gestione corretta della normalità. Troppi capi e un esercito che, quando c’è, non sempre è guidato con direttive precise e mano ferma.

    Tutti sanno cosa devono fare gli altri, pochi si assumono le proprie responsabilità lavorando in silenzio, e se le cose si complicano ecco la parola magica: emergenza.. Nel corso di un dibattito televisivo un noto economista ha riconosciuto che da quando non c’è più la leva obbligatoria è venuto a mancare nella gestione dei grandi eventi un sistema educativo e formativo che abituava i cittadini all’organizzazione e alla disciplina. Si scopre con un po’ di ritardo che la ristrutturazione dell’esercito, necessaria per gli impegni dell’Italia in politica estera, non poteva non tener conto che il dovere di tutti riguarda anche la tutela del Paese.

    Su questa linea gli alpini hanno fatto la loro battaglia. A tempo scaduto nessuno pensa di tornare indietro. Di sicuro restano ancora forti lo spirito e la disponibilità delle penne nere che, come quelle della copertina, senza telecamere, interviste o giri di parole, testimoniano l’esistenza di un’Italia diversa, operosa, solidale.

    Vittorio Brunello