Dall'aquila romana all'aquila bicipite, dal leone di San Marco al Tricolore

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    Iniziamo, come è tradizione, la presentazione della città che ospiterà l’adunata
    a maggio. È una panoramica che si svolgerà nei mesi che precedono l’arrivo degli alpini a Trieste, per dare modo anche a chi non l’ha mai visitata, di apprezzarla meglio.
    di Umberto Pelazza


    A Trieste, città fervida di traffici e mercatura, ma non priva di letterati e storici illustri, è mancato il Virgilio di un’Eneide istriana. Come i Romani attribuivano la provenienza della loro gente a esuli scampati all’incendio di Troia, c’è chi sostiene che similmente sia avvenuto a opera di fuggiaschi alleati dei Troiani che, risalito il Danubio, da un varco delle Alpi Giulie sarebbero scesi a occupare una penisola protesa sull’alto Adriatico dove, fondendosi con gli indigeni, avrebbero dato origine al popolo degli Istri. Portavano l’uso del ferro e le dimore a castelliere, borghi d’altura cinti di robusti muri a secco.
    Nel I secolo a.C., a poca distanza dal mare, acquistò particolare importanza l’abitato collinare di Tergeste, che sarà fortificato da Augusto e munito di un presidio militare a controllo delle comunicazioni sia terrestri che marittime. Con l’affermarsi del cristianesimo nel III secolo, il borgo sarà dedicato a San Giusto martire, gettato in mare con una grossa pietra al collo, futuro patrono della città. Passata sotto il dominio dei Bizantini, Tergeste subì a ondate le invasioni di Visigoti, Unni, Ostrogoti, Avari e Slavi: i più efferati furono nel 568 i Longobardi di Alboino, che la misero a sacco. Fu pazientemente ricostruita e nel 788 cadde sotto i Franchi di Carlo Magno, il fondatore del Sacro Romano Impero. Dopo il Mille fu tutelata dal patriarca di Aquileia, che si avvaleva, come longa manus, dei vescovi conti, fortemente ostili al sorgere di un governo comunale. Si era intanto sviluppata la potenza navale della dirimpettaia Venezia, signora delle rotte orientali, con la quale stipulò un trattato politicocommerciale, che non riuscirà però a sopire la rivalità fra le due stazioni marittime (iniziata, secondo la tradizione, con un ‘ratto delle veneziane , a opera di pirati triestini).
    La fase più acuta fu toccata fra il 1280 e il 1290: Trieste fu ripetutamente occupata e delle sue macchine da guerra, portate a Venezia, si fece uno spettacolare falò in Piazza San Marco.
    Nonostante l’alleanza stipulata con Genova e l’aiuto interessato dell’Austria, Trieste dovette riconoscere la supremazia marittima della Serenissima.
    Messa alle strette, prese una decisione storica e nel 1382 sottoscrisse un ‘Atto di Dedizione’, offerta di obbedienza, con la quale si rendeva tributaria della Corona ducale austriaca, impersonata da Leopoldo III (cui toccarono, come regalia personale, cento onze di vino). Cambiò accento diventando Trìest e all’alabarda del suo vessillo affiancò l’aquila bicipite. La sua forma di governo non fu però modificata: la sovranità asburgica sarà più formale che reale.
    Acquistò gradualmente una mentalità europea e internazionale e nel XVIII secolo l’imperatore Carlo VI concesse a Trieste e a Fiume i diritti di porto franco e libertà di navigazione sull’Adriatico: uno sgarro per Venezia, costretta a tollerare nel ‘suo’ mare un nuovo concorrente.
    La città tenne fede al suo nome di battesimo, Tergeste (città mercato). A Trieste, si diceva, c’è festa tutto l’anno. Sotto il regno di Maria Teresa (1740 1780) si ebbe un consistente sviluppo urbano: le vecchie mura furono abbattute e furono costruiti un arsenale e un cantiere navale.
    A fine secolo compaiono sulla scena le armate napoleoniche: tre invasioni in successione e altrettante cospicue richieste di riscatto (sulla prima delle quali lo stesso Bonaparte praticò uno sconto). Nel 1815, al ritorno degli austriaci, Trieste
    è promossa capitale del litorale Adriatico e diventa la prima piazza commerciale dell’Austria e la quarta città dell’impero, dopo Vienna, Budapest e Praga. All’ inserimento nella ‘Confederazione germanica’ risponde accendendo la prima fiaccola dell’irredentismo e difendendo, oltre al dialetto, la propria lingua ‘ufficiale’, un italiano piuttosto sommario (in un negozio del centro una dama della buona società chiede: ‘una seggiola, di grazia’: al commesso interdetto il padrone suggerisce: ‘daghe na cadrega’, dalle una sedia). L’irredentismo prende piede e acquista proseliti una soluzione italiana di tipo risorgimentale, che passa attraverso la laguna col motto: ‘Meglio una dipendenza da Venezia che sudditi degli Asburgo’. L’Austria è costretta a soffocare le prime manifestazioni separatiste. I giovani triestini, esonerati per legge dal servizio militare, nel 1865 persero i loro privilegi e l’anno successivo parteciparono, con l’uniforme austriaca, alla terza guerra del Risorgimento.
    Allo scoppio della prima guerra mondiale un migliaio di irredenti fuggirono per arruolarsi nell’esercito italiano: il primo Caduto fu un alpino, colpito a morte sul Pal Piccolo lo stesso 24 maggio 1915. Ruggero Timeus, esule a Roma, si sentì in dovere di informare il console austriaco: ‘Sono deciso a non obbedire all’intimazione di arruolamento, pur sapendo di meritare la fucilazione’. Il 7 agosto Trieste fu sorvolata da un aereo italiano dal quale Gabriele d’Annunzio inondò la città di volantini tricolori.
    Durante la ritirata di Caporetto cadde Guido Corsi, Medaglia d’Oro, al quale è intitolata la sezione ANA cittadina. Il giorno stesso della firma dell’armistizio, 3 novembre 1918, la torpediniera ‘Audace’ sbarca i bersaglieri al molo triestino cui darà il suo nome: il giorno prima gli italiani avevano affondato la corazzata Viribus Unitis nel porto di Pola.
    Nel 1919, col trattato di SaintGermain, Trieste è annessa all’Italia. Diventati ‘regolari’, gli alpini triestini combattono in Etiopia, prima di partecipare al secondo conflitto mondiale. Dopo l’8 settembre 1943, Trieste e la Venezia Giulia, occupate
    dai nazisti, costituirono provincia, di fatto annessa al Reich: i giovani di leva furono arruolati nella Wehrmacht e l’edificio della Risiera di San Sabba venne trasformato in un campo di sterminio. Vi furono torturati e persero la vita più di tremila internati, ebrei, partigiani, antifascisti: sacchi colmi di ceneri umane uscirono dal crematorio per essere rovesciati in mare. A ostilità concluse, Trieste, che gli alleati avevano dichiarato città nemica conquistata, non città jugoslava liberata, fu occupata per oltre quaranta giorni dai soldati di Tito che attuarono feroci rappresaglie: persero la vita un migliaio di cittadini. Subentrati gli americani, fu costituito, sotto amministrazione internazionale, il Territorio Libero di Trieste, obbligato a un ristagno economico, privato com’era del suo naturale retroterra. Il distacco di Tito da Stalin, ben visto in occidente, fece dimenticare agli alleati il conclamato diritto dell’Italia su Trieste. Le manifestazioni di protesta si moltiplicarono: assembramenti, sassaiole, assalti di edifici pubblici. L’Italia spostò due divisioni sulla frontiera orientale. La situazione precipitò il 5 novembre 1953, quando la polizia militare alleata fece fuoco sui dimostranti, provocando sei vittime e parecchie decine di feriti.
    La crisi rientrò con la sottoscrizione a Londra del ‘Memorandun d’intesa’, che sanciva la spartizione del Territorio Libero in Zona A (comprendente Trieste), da assegnare all’Italia, e in zona B (alla Jugoslavia). La notte del 26 ottobre 1954, Trieste italiana accolse con strabocchevole entusiasmo i soldati della Repubblica italiana. Un giornalista americano presente domandò a un collega italiano: ‘Ci sono gli alpini?’. Alla risposta negativa commentò deluso: Nuts! I want alpini . (Peccato! Avrei voluto gli alpini).