Cassazione: la Germania risarcisca i militari italiani internati nel 1943

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    La Germania risarcisca i militari deportati durante la seconda guerra mondiale: le loro condizioni erano quelle di prigionieri di guerra e anche quando vennero dichiarati lavoratori civili vivevano in condizioni tali di costrizione e di mancanza di qualsiasi tutela o diritto da essere assimilati a veri e propri perseguitati alla stregua di coloro che erano nei Lager .
    Pertanto, ha stabilito la Cassazione, familiari dei militari italiani internati in Germania, nel caso fossero ormai deceduti, possono intentare causa civile al governo della Repubblica federale, richiedendo la somma di 7.500 euro stabilita dalla speciale Fondazione della memoria istituita dalla Germania.
    Sono 120mila gli italiani che hanno chiesto il risarcimento, ma soltanto tremila di costoro è stato riconosciuto lo status di perseguitato per motivi razziali o politici, e pertanto hanno ricevuto il risarcimento che ha più un valore morale che economico, essendo comunque assolutamente irrisorio rispetto alle vessazioni e ai patimenti inflitti.
    Dopo l’8 settembre 1943, la fuga del re e il disfacimento del nostro esercito lasciato in balìa di se stesso, con ordini contradditori e oscuri, senza uno Stato Maggiore che aveva preferito seguire il re nella fuga da Roma, in Italia, Francia, Jugoslavia, Grecia (non senza episodi di resistenza come quelli della gloriosa divisione Acqui a Cefalonia) i tedeschi fecero prigionieri 550mila nostri soldati e li deportarono in Germania. Si calcola che non meno di 50mila non fecero più ritorno in Italia.
    I soldati italiani che non siano disposti a continuare la lotta a fianco dei tedeschi devono essere disarmati e considerati prigionieri di guerra , furono gli ordini di Hitler. Era il 15 settembre del 1943. Cinque giorni dopo Hitler stesso declassò i prigionieri in internati militari , uno status che poneva i deportati al di fuori delle garanzie stabilite dalla convenzione di Ginevra: nessuna ispezione della Croce Rossa internazionale ai campi di internamento, nessuna garanzia sanitaria o di trattamento umanitario, nessun contatto né lettere né pacchi con le famiglie in Patria. E quando la guerra cominciò a dimostrare che l’esercito del Reich non era poi così invincibile, ai nostri soldati fu chiesto di diventare liberi lavoratori . Venne loro consegnato un foglio, firmando il quale si sarebbero dichiarati disposti a lavorare in Germania.
    Nonostante le minacce della polizia alla cui autorità e sorveglianza erano passati i nostri internati molti non firmarono: ebbero razioni dimezzate e furono sottoposti a vessazioni.
    Molti sparirono, perfino dai registri della Gestapo. Alla fine, consenzienti o no, furono tutti forzatamente impiegati nelle fabbriche a produrre armi, o a caricare e scaricare merci, o sgomberare macerie durante e dopo i bombardamenti. I più fortunati furono impiegati nelle fattorie: ebbero una vita appena migliore.
    I giudici della Corte di Cassazione (non ancora i governi italiani di tutti i colori che si sono succeduti fino ad oggi) hanno stabilito che questi nostri soldati hanno diritto al riconoscimento del trattamento subìto. La Germania, alla stessa richiesta, rispose anni fa che si trattava di prigionieri e non di lavoratori civili perseguitati e quindi non avrebbe pagato.
    Ora c’è la possibilità di avviare una causa civile, per un reato che non si è mai estinto. Di fronte a questi crimini internazionali si legge nella sentenza della Cassazione l’immunità funzionale degli organi dello Stato estero non può essere invocata. Per questo la Repubblica federale di Germania non ha diritto di essere riconosciuta immune dalla giurisdizione del giudice italiano .