A Selenyj Jar non si pensava di tornare ma di morire

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    Migliaia di penne nere a Isola del Gran Sasso per commemorare i Caduti del battaglione L’Aquila.

    Acome Alpini A come Abruzzo . Con queste parole il presidente Perona, visibilmente commosso, ha iniziato il suo intervento al termine dell’imponente sfilata a Isola del Gran Sasso. Effettivamente era così: c’erano tanti alpini da tutta Italia, ma soprattutto c’era tutto l’Abruzzo. In una splendida giornata di sole, circondate dalle vette innevate e splendenti dell'anfiteatro naturale dei monti Camicia, Prena, Brancastello, Aquila, Corno Grande e Corno Piccolo, migliaia di penne nere domenica 19 febbraio, grazie all’impegno del Gruppo di Isola del Gran Sasso e della granitica sezione Abruzzi, hanno voluto ricordare il sacrificio di Selenyj Jar, dove alpini ed artiglieri guadagnarono alla Julia l’appellativo di Divisione Miracolo. È forse, quello di Selenyj Jar, l’episodio più alto di eroismo puro e disinteressato che gli alpini hanno saputo scrivere nel tragico libro della Campagna di Russia. In fondo la Ritirata aveva, per gli alpini, anche uno scopo personale: tornare a casa. E gli alpini hanno combattuto oltre ogni immaginazione per rompere il cerchio di ferro e di fuoco nel quale erano stati stretti a causa del cedimento del fronte tenuto da altre divisioni e da altri eserciti. A Selenyj Jar non si pensava di tornare a baita. Si sapeva di morire.

    Un po’ alla volta, a causa dei continui attacchi del nemico e del freddo affrontato senza ricoveri e senza alcuna preparazione del terreno. Ma gli alpini hanno resistito per oltre un mese, in buche scavate nella neve con l’elmetto, coperti dal solo telo tenda, respingendo attacchi su attacchi ad ogni ora del giorno e della notte. E non hanno perso un solo metro di terra. Sapevano che dal loro comportamento dipendeva la salvezza dei fratelli delle altre Divisioni. E hanno resistito contro ogni aspettativa; persino contro ogni logica. Lo hanno fatto perché questo compito era capitato a loro in sorte ma sapevano che i fratelli degli altri battaglioni si sarebbero comportati allo stesso modo. È la legge delle genti di montagna: compiere il proprio dovere sempre, perché c’è sempre qualcuno che su di te fa affidamento. E gli alpini de L’Aquila questa legge la conoscevano bene. L’avevano imparata fin da bambini sulle montagne abruzzesi dove la vita è dura come su quelle lombarde o piemontesi o venete. Del battaglione L’Aquila solo tre ufficiali tornarono a casa: Prisco, Fossati e Vitalesta. Dei 1.600 alpini partiti, solo 150 rividero le montagne d’Abruzzo.

    L’epopea del quadrivio di Selenyj Jar è una lezione di senso del dovere e di amore purissimo che va seguita, difesa e raccontata con ostinazione, in una società dalla memoria sempre più corta. È quello che hanno fatto i reduci che non hanno chiesto niente per loro, ma solo che si ricordasse il sacrificio. E così, anche quest’anno, a Isola c’erano due reduci di raro carisma: Ivo Emett della 13ª batteria del gruppo Conegliano e Carlo Vicentini, del btg. Monte Cervino. Entrambi hanno combattuto a Selenyj Jar. Hanno negli occhi la malinconia degli amici lasciati nella neve, ma anche la serena consapevolezza di aver compiuto il loro dovere fino in fondo: sui campi di battaglia, in prigionia, e in Patria nella lunga e dura lotta per la conservazione della memoria. Sono felici, oggi, glielo si legge negli occhi. Hanno vinto la loro battaglia. Gli alpini, stretti intorno a loro, ricordano e pretendono che questa memoria sia conservata anche dalle Istituzioni. Sorridono, i nostri reduci, perché sanno di aver dato il loro zaino di memorie e di valori a uomini con le spalle forti che sapranno portarlo e passarlo a loro volta quando saranno stanchi. E questa è la legge degli alpini (c.l.)