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domenica, 19 Maggio 2024

Lo zaino come metafora. Vera

Il recente convegno della stampa alpina e, prima ancora, l'incontro con i giovani hanno fatto comprendere che, a forza di interrogarci sul futuro ora...

Uniti, guardando lontano

Imponente, grandiosa, fantastica i parmensi non trovavano più le parole per definire la giornata di domenica giunta ormai all'imbrunire, dopo la sfilata durata undici ore e conclusa con un mare di folla in piazza Garibaldi, con quel momento fatto di solennità ma anche di sottile tristezza che è l'ammainabandiera. Perché la città viveva ancora in un clima di festa, e il Tricolore che aveva invitato a guardare in alto sembrava ora riportarci sulla terra, alla nostra quotidianità.

L'Adunata degli alpini era finita, la città stava riacquistando il suo aspetto di sempre. Il giorno dopo, con gli uffici aperti e le strade senza transenne, le bandiere che decoravano ponti e lampioni avevano un altro significato, senza gli alpini.
Ma molto è rimasto. Lo ritroviamo ricordando le alte parole del sindaco Ubaldi, cresciuto dal padre, alpino, ai valori in cui ci riconosciamo; nella convinzione del presidente della Provincia Bernazzoli, ( gli alpini hanno fatto del bene alla città e alla provincia ). L'impressione che hanno lasciato è di essere affidabili, soprattutto uniti. E, per riflesso, di appartenere ad un'associazione compatta.

È stato quel qualcosa in più che ha contrassegnato la nostra Adunata nazionale, un qualcosa molto importante alla vigilia dell'assemblea dei delegati e in un momento storico di transizione. E che ci conforta, perché conferma che siamo sulla strada giusta e che pur in un mondo che cambia, gli alpini sanno stare al passo, e non soltanto alla sfilata, perché sono inseriti nel tessuto sociale di ogni singolo paese.

La riprova?Mai come in questi mesi sono state aperte nuove sedi, di sezione e specialmente di gruppo, segno di una brillante vitalità. Ma soprattutto non è soltanto un'impressione mai abbiamo visto sfilare tanti giovani. Sono gli stessi giovani che hanno chiesto di fare di più, di contare di più nell'Associazione, seguendo l'esempio dei veci alla cui scuola sono cresciuti. Nessuno pensa che il futuro associativo sia pianeggiante, che la fine della leva obbligatoria non abbia imposto di imboccare strade nuove. Ma raccogliere lo zaino e rimetterlo in spalla sembra stia facendo bene all'Associazione, e lo si vede.

Come quando, dopo una sosta in una lunga marcia in montagna veniva dato l'ordine di ripartire, e toccava alzarsi e mettersi in cammino ritrovando nuova lena, così stiamo facendo adesso. E non c'è dubbio che, restando uniti, riusciremo a raggiungere la cima, e potremo guardare lontano.

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Lo sapevate?Gli obiettori 'hanno difeso la Patria'

L'Ufficio nazionale per il servizio civile saluta gli 800mila obiettori di coscienza che dal 1972 hanno difeso la Patria attraverso il servizio civile . Così recita la campagna di stampa per il reclutamento dei volontari del servizio civile, giocando su un equivoco ed assimilando gli obiettori di coscienza ai giovani che liberamente scelgono di svolgere, oggi, il servizio civile, meritorio ed utile al prossimo.

Certo, prima che venisse sospesa la leva, un esiguo numero delle decine di migliaia di obiettori (una media di 70mila, dal 1972 in poi, con punte di 96 mila: tanti quanti ce n'erano nell'intera Comunità europea) veniva dirottato sul servizio cosiddetto civile: una manna per tante associazioni ed enti fra i più svariati, ma soprattutto per tanti giovani che volevano starsene a casa, lasciando ai loro coetanei il più impegnativo (e spesso lontano) servizio militare.

Ora vogliono farci credere che tutti coloro che hanno portato la divisa, disposti a difendere (veramente) la Patria anche mettendo in gioco la propria vita, avrebbero assolto al diritto dovere costituzionale al pari di coloro che con la scusa di non voler maneggiare le armi rimasero a casa dalla mamma e dalla morosa. Perché un conto è parlare dei soldati di leva e dei giovani che oggi chiedono di far parte del servizio civile e un altro è tirare in ballo gli obiettori di coscienza. Con la doverosa precisazione che anche fra questi ultimi non sono mancati ragazzi che hanno davvero svolto lavori socialmente utili e talvolta anche scomodi e che pertanto meritano tutto il nostro rispetto.

Ma andiamo con ordine, facendo la cronaca dell'antefatto.
A gettare il sassolino nello stagno è stato un ricorso alla Corte Costituzionale della Provincia autonoma di Trento la quale chiedeva se il servizio civile, alla luce della sospensione della leva obbligatoria, potesse essere ancora considerato come difesa della Patria (e quindi di competenza nazionale), o non dovesse invece essere inteso come un'attività di tipo sociale di esclusiva competenza regionale .

In sostanza, la Provincia di Trento che ha competenze specifiche in virtù dello Statuto speciale d'autonomia intendeva avvalersi anche dell'esclusiva del servizio civile per poterlo gestire in proprio.
La Corte si è pronunciata solo sul carattere costituzionale del quesito, e considerando il nuovo servizio civile (che nulla ha a che fare con quello degli anni dell'obiezione di coscienza) ha affermato che il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell'articolo 2 della Costituzione . In base a questo articolo va superato l'obbligo imposto dall'autorità e considerato anche profondamente sociale l'agire per libera e spontanea decisione dell'individuo. In questo contesto conclude la Consulta il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria . Tende a proporsi: come dire, tende a diventare, tende a trasformarsi, tende ad essere.

Lo sarà mai?
Come si vede la Consulta non confonde l'odierno servizio civile nazionale con l'obiezione di coscienza degli anni Settanta e Ottanta, come invece hanno fatto travisando il significato della sentenza gli autori della campagna di stampa.
Se infatti l'invito a prestare servizio civile è certamente legittimo e condivisibile, affermare che gli 800mila obiettori hanno difeso la Patria suona come un'offesa e una beffa nei riguardi prima di tutto di coloro che per compiere il proprio dovere in difesa della Patria hanno perso la vita, di quanti hanno sopportato sacrifici immani in guerra e infine di tutti coloro che in circostanze pur meno drammatiche hanno indossato la divisa fieri di servire davvero la Patria.

Un conto è dire che la competenza di un servizio nazionale dev'essere dello Stato e non di una Regione o di una Provincia e che rende un servizio alla Patria chi svolge oggi (e ripetiamo, oggi) il servizio civile che consideriamo utile ed appagante, altro è sostenere che gli obiettori di coscienza, rifiutando il servizio militare quand'era obbligatorio difesero la Patria.

Il fatto è che da sempre, e così stabilirono coloro che la Costituzione l'hanno scritta, difesa della Patria definita sacro dovere significa difesa armata. Significa difenderne i confini, l'integrità territoriale, le istituzioni, tutto ciò che siamo: uomini liberi in un Paese libero. Se la difesa della Patria si poteva fare anche con l'obiezione di coscienza dovevano dircelo prima di sospendere la leva. E non prendere in giro tutte quelle migliaia di giovani che hanno risposto alla cartolina precetto e che hanno compiuto anche quelli che erano partiti di malavoglia il loro dovere di soldato.

E poi, se la leva è scuola di vita e di valori (in un periodo di caduta di valori e di degrado giovanile come il nostro) si difende la Patria anche difendendo e non certo sospendendo questi valori.
C'è poco da dire grazie agli 800mila obiettori, dunque. I conti della difesa della Patria non tornano.

Natale: arrivato Cappuccetto rosso

Quando il Sacro Collegio decise di declassare la festività della Befana e, soprattutto, quella di San Gennaro, ci fu una rivoluzione delle famiglie e dei bambini, mentre sui muri di Napoli dove si rasentò la sollevazione popolare apparve la scritta: San Genna', fottiténne .
Di lì a poco, il prudente Paolo VI ripristinò in tutta la loro corale solennità le due ricorrenze, restituendo agli italiani due delle feste più amate e più tradizionali.
Nessuno avrebbe immaginato che sarebbe venuta dal basso (si fa per dire) una revisione ancora più drastica e profonda, in ossequio ad una distorta quanto disinvolta e opinabile concezione del politicamente corretto .

Come giudicare diversamente quel crescendo di stupidità (dal latino stupere, stupire) registrato alla fine dell'anno che ci ha appena lasciato, che ha colpito valori, simboli e tradizioni dall'eliminazione del presepe alla rimozione di Gesù Bambino, alla sostituzione del testo di canti natalizi, a rappresentazioni sacre e via demolendo.
Così, ecco che in una scuola elementare di Como, per non offendere due ragazzi di religione islamica anziché Gesù Bambino hanno cantato una non meglio specificata Virtù Bambino , evidentemente molto più multietnicamente accettabile. A Napoli, nella scuola che qualche mese addietro aveva festeggiato il capodanno cinese, hanno allestito un presepe universale, dove c'erano proprio tutti, compresi gli angeli di colore.

Ma il capolavoro, crediamo, è stato raggiunto da una scuola di Treviso, dove la recita natalizia del presepe è stata sostituita con la fiaba di Cappuccetto rosso: meglio mettersi in linea con i tempi, devono aver vaneggiato gli insegnanti : visto che non passa giorno che non ci siano delitti in famiglia, perché non far rappresentare ai bambini la nonna sbranata dal lupo? Indefessi, hanno spiegato che il tutto rientra in un ampio progetto didattico dedicato alla pace . E che per parlare del Natale ai bambini ci sono altre occasioni . Forse a Pasqua, per esempio, o a ferragosto

In questa corsa di demolizione iconoclasta non è sfuggito neppure Babbo Natale, trasformato in una scuola cagliaritana in Mago Natale, mentre a Viareggio, al Tu scendi dalle stelle (cantato in trecento lingue!) è stato preferito Stella, di Antonello Venditti: una preghiera laica, ha spiegato la (purtroppo) insegnante.
Cattivi maestri, pensiamo; maestri disinformati, aggiungiamo. Se leggessero il Corano al quale così disinvoltamente s'ispirano, apprenderebbero che (Sura III 45 46) quando gli angeli dissero a Maria: O Maria, Dio t'annunzia la buona novella d'una Parola che viene da Lui, il cui nome darà il Messia, Gesù, figlio di Maria , e che l'Islam venera Gesù e Maria e riconosce il dogma dell'immacolata concezione. E che, infine, gli stessi Imam hanno deprecato simili iniziative che vanno ben oltre il concetto del rispetto dell'altrui religione. Senza contare i fattori più importanti: l'occasione non strumentale di parlare della pace, quella vera, suggerita dalla venuta d'un bambino ( Ecce apparebit parvulus ); l'occasione di reciproca comprensione portata su un piano alto; il riconoscimento del valore della famiglia, dello stare assieme, della compassione per gli altri, dello spirito di fratellanza che questa ricorrenza suggerisce. E l'alone di mistero e di mistico, soprattutto per i semplici, che l'accompagna.

Nell'editoriale di ottobre scrivevamo che non possiamo ignorare la tragedia di genti disperate. Ma l'accoglienza che la nostra storia ci impone, la solidarietà e l'umanità che caratterizzano noi italiani non possono farci rinunciare a nulla di ciò che siamo. Possiamo, dobbiamo tendere una mano, ma senza perdere la cosa più preziosa: la nostra identità .
Comprendiamo perché il nostro sistema scolastico viene continuamente bocciato (purtroppo anche recentemente) dagli organismi di ricerca internazionali. Pensiamo che proprio dalla scuola istituto delegato più degli altri a compiti di pedagogia morale e culturale, prima ancora che nozionistica e scientifica stanno purtroppo venendo segnali pesantemente negativi, inutilmente denunciati anche dalla stampa più accreditata.

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Ritorno all'Ortigara

La vera assemblea degli alpini è qui, all'Ortigara. Qui ci siamo noi e qui ci sono i nostri Caduti . Con questa semplice frase il nostro presidente nazionale Corrado Perona ha racchiuso gli 85 anni della storia dell'Associazione Nazionale Alpini. Nel settembre del 1920 gli alpini che avevano fondato l'Associazione si diedero appuntamento proprio sull'Ortigara per la loro prima Assemblea. I reduci che avevano combattuto nella Grande Guerra, non trovarono un luogo più simbolico per ricordare il sacrificio delle centinaia di migliaia di Caduti nei terribili anni trascorsi dal 24 maggio del 1915 al 4 Novembre di tre anni dopo. Il tempo della prima Assemblea vedeva l'Italia percorsa da lotte politiche e crisi sociali, con i reduci messi in disparte, colpevoli di aver combattuto e conseguito una vittoria mutilata . Il Tricolore che sventolava nella Galleria di piazza Duomo a Milano, alla finestra della sede provvisoria della neonata Associazione Alpini, mentre agitatori minacciavano sommosse e l'ordine pubblico era precario, era l'unica Bandiera che testimoniasse il dovere compiuto e l'attaccamento ai valori che avevano contribuito a costruire l'Italia. I nostri Padri seppero restare fedeli a questi valori.

All'alba del nuovo secolo, in un'Europa delle Patrie che spontaneamente hanno rinunciato a una parte delle propria sovranità per delegarla a una Patria più grande, i tempi non sono meno facili di allora, anche se la società è molto cambiata e ha perso per strada tanti valori. Eppure l'ANA ha saputo, pur trasformandosi, restare legata alle sue radici, è stata capace di aprirsi alla società tanto da essere parte di quella protezione civile indispensabile nell'emergenza ma soprattutto di essere protezione morale nella vita quotidiana del Paese, conservando i suoi valori e la capacità di esprimerli nello spirito di servizio.

Per questo, proprio sull'Ortigara, il presidente Perona ha voluto ritornare idealmente alle origini, ricordarne lo spirito e il sacrificio dei Caduti. Ha parlato ai veci , ma si è rivolto soprattutto ai giovani, a quelli che prestavano servizio nel picchetto che rendeva gli onori e a quelli in congedo; e ha detto delle grandi potenzialità che ha l'Associazione, che non è mai stata così forte, che deve ridisegnare il proprio futuro nello scenario che cambia. Questo spirito è stato ben compreso e condiviso, giacché nonostante la giornata si annunciasse proibitiva mai come quest'anno ci sono stati tanti alpini al pellegrinaggio dell'Ortigara. Ma gli alpini non hanno paura , dice un bellissimo canto alpino. Non hanno paura, e sono capaci di rimettersi lo zaino in spalla e continuare la marcia, guardando in alto.

Zaino in spalla

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