Essere d’esempio

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    Il disorientamento di fronte alle notizie di violenze o comportamenti gravemente lesivi dell’integrità sociale messi in atto dai nostri giovani, in moltissimi casi giovanissimi, ci richiama a riflessioni importanti. Non ho la competenza per individuare cause specifiche, ma è evidente che troppo è andato deteriorandosi nell’iter formativo di ogni individuo: famiglia e scuola hanno perso progressivamente la capacità di trasmettere modelli educativi.

    Probabilmente si è spinto troppo in là l’assunto in base al quale tutto è diventato un diritto, tutti vengono messi sullo stesso piano a prescindere dai meriti e la cultura personale non è più considerata un valore (i test Invalsi, che hanno sostituito in modo “soft” una serie di accertamenti scolastici, hanno dimostrato che più di metà degli adolescenti non è in grado di comprendere alla prima lettura una frase scritta e che quasi altrettanti faticano a scrivere).

    Se a questo aggiungiamo i social network, che privilegiano apparire e fama effimera proponendo personaggi di sport e spettacolo strapagati, illudendo che in molti casi non sia necessario neppure lavorare, otteniamo un quadro abbastanza desolante. E siccome non ho intenti polemici sorvolo sulla sempre più labile certezza della pena e sull’onestà di molti chiamati a governare a vari livelli.

    L’Ana non ha ovviamente le risorse né tantomeno la pretesa di cambiare la situazione: ma qualcosa di importante può fare, soprattutto seguendo la linea tracciata più di un secolo fa, ovvero essere d’esempio. Per questo ho scelto di dedicare la copertina di questo numero ai nostri Campi scuola per i ragazzi dai 16 ai 25 anni e ho scelto il titolo “scuola di vita”. Certo, in 15 giorni non si cambia un ragazzo (anche perché chi si iscrive ai nostri campi rivela già una buona predisposizione civile): ma gli si mostra che esistono anche i doveri e le regole, che la convivenza e la sinergia basate sulla condivisione consentono di raggiungere risultati che ai singoli sembrano fuori portata.

    I nostri volontari e formatori che hanno lavorato con oltre settecento giovani negli undici campi realizzati quest’anno, hanno tracciato alla fine bilanci simili: i ragazzi hanno mostrato (come è sempre stato) capacità notevole di fare squadra, superando la tendenza all’isolamento esistenziale in cui li confinano i social network che propongono un’idea fittizia di condivisione. Lo ripete spesso anche il nostro presidente nazionale: i giovani sono capaci di rispondere presente, il problema è che l’attuale modello sociale non glielo chiede quasi mai. In questo il servizio militare di leva, pur con i suoi limiti, recitava un ruolo molto importante, perché condivisione di vita e lavoro erano imposti per periodi anche molto lunghi (fino a diciotto mesi o due anni).

    Oggi è probabilmente irrealistico (economicamente e operativamente) tornare alla naja, anche se sulla spinta della guerra in Ucraina molte nazioni europee ci stanno ripensando, ma sul modello proposto da Macron non sarebbe impossibile pensare a un servizio obbligatorio al Paese anche di pochi mesi, per maschi e femmine, in cui apprendere metodicamente quanto oggi l’Ana propone nei Campi scuola e contare così in pochi anni su cittadini più responsabili, capaci anche di dare un contribuito operativo in molte situazioni di necessità (e, una volta individuati i giusti percorsi normativi, portare nuova linfa nelle file della nostra Associazione).

    Massimo Cortesi