Alpini della Julia, missione compiuta

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    Un anno di alpini in Afghanistan si è concluso con il rientro della Julia, il 29 aprile, dall’impegnativo teatro afgano. Un anno di alpini perché la Taurinense prima e la Julia poi con la partecipazione, quali addestratori, anche del personale esterno alle due brigate, si sono alternate al comando della provincia occidentale dell’Afghanistan. Alpini che hanno portato il loro modo di operare fatto di concretezza, determinazione ed umanità. Quel connubio di qualità che ha fornito risultati di assoluta eccellenza: uno su tutti, internazionalmente riconosciuto, la scelta della città di Herat (sede del comando italiano) quale area che da giugno entrerà, prima, nel processo di transizione.

    Quel processo nel quale le forze di sicurezza afgane prenderanno piena responsabilità della loro terra. Passo indispensabile per un Afghanistan pacificato e sicuro, dove la popolazione possa ambire ad un futuro prospero. Ma gli attestati di stima nazionali ed internazionali non finiscono qui, la cerimonia del cambio della Julia avvenuta il 4 di aprile a Camp Arena ha visto la partecipazione del gen. Petraeus, comandante della missione ISAF, presenza (pur non dovuta) che ha voluto sottolineare l’alta considerazione del lavoro svolto dagli alpini in quell’area. Le due medaglie ricevute nell’occasione dal gen. Bellacicco, comandante della Julia, non sono che la punta di un iceberg fatto di diuturno lavoro, di sacrifici e di capacità che hanno permesso di raggiungere, nel solco del lavoro svolto da chi li ha preceduti, risultati concreti, tangibili.

    Non sono solo le oltre 15.000 attività svolte in dodici mesi a dare il polso della situazione e neppure le straordinarie capacità del personale che permette, a oggi, di scovare tre ordigni esplosivi su quattro prima che questi esplodano mietendo vittime tra la popolazione civile prima che tra i militari; non sono neppure le migliaia di pattuglie (1.710 negli ultimi sei mesi) o le operazioni (decine) che hanno portato nel semestre della Julia all’arresto di oltre trenta insurgent o all’ulteriore allargamento di quella bolla di sicurezza che, resa stabile dalla Taurinense, ha visto in dodici mesi tornare alla vita normale quasi 10.000 cittadini che sono tornati alle loro occupazioni in un’area resa sicura dalla presenza dei militari; ma sono soprattutto le non quantificabili attività di cooperazione con la popolazione e con la classe dirigente locale che permettono stabili condizioni per lo sviluppo. A Bakwa, in un’area dove gli alpini hanno iniziato ad operare da settembre del 2010, è stato riaperto un bazar, segno tangibile ed innegabile di ritorno alla normalità, alla vita, in un’area dove la popolazione era scappata per la presenza talebana.

    Un bazar che ha fatto da richiamo per il rientro delle persone alle loro case (oltre 600 famiglie hanno espresso l’intenzione di tornare nell’area), un bazar che “è più efficace nel contrasto agli insurgent di dieci bombardamenti” ha ricordato il comandante della Julia al Ministro della Difesa in una delle sue diverse visite nell’area. Perché è proprio la capacità di contribuire (assieme agli afgani che ormai operano costantemente “spalla a spalla” con gli alpini ed i militari della coalizione) a creare e mantenere condizioni di sicurezza che permettano lo sviluppo della missione che vede impegnati i militari italiani. Una missione che gli alpini si sentono quasi tagliata addosso perche la loro capacità di avere attenzione alle esigenze di tutti spaziando dall’attività tattica alla capacità di gestione manageriale dei progetti di sviluppo è stata uno sprone concreto agli amministratori locali che hanno visto negli alpini un sicuro supporto.

    Diversi sono stati i progetti poi che le due brigate hanno potuto realizzare anche grazie alla disponibilità dell’ANA che ha finanziato, curato, seguito il lavoro dei loro uomini in armi in quella regione. Andando a vedere solo alcune realizzazioni degli ultimi mesi non si possono non menzionare i medicinali forniti al 5° alpini dalle sezioni lombarde che hanno permesso al reparto di decuplicare le operazioni di supporto medico diretto dei militari a favore della popolazione o la donazione proveniente da tutte le sezioni friulane assieme che ha permesso la realizzazione in Herat di un complesso ospedaliero. Missione dura e difficile, che ha avuto un pesantissimo tributo di sangue: sette i Caduti durante i sei mesi trascorsi dalla brigata nella provincia di Herat. Caduti nell’assolvere il compito richiesto loro dalla Patria, a riprova che oggi come ieri i valori come il dovere, il sacrificio e l’abnegazione sono sempre parte del DNA alpino.

    Capitano Igor Piani
    Capo Ufficio P.I. Brigata Julia

    Pubblicato sul numero di maggio 2011 de L’Alpino.