Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    La penna e la nappina sull’elmetto

    Leggo su L’Alpino n. 11 del dicembre scorso un richiamo di un lettore sull’utilizzo della penna e nappina sull’elmetto. In effetti, se esiste un oggetto identificativo per chi da anni è alpino, questo è proprio la penna. Non dimentico con quale orgoglio scendevamo dal C130 all’aeroporto di Bardufoss, in Norvegia o in Danimarca o nell’Anatolia Turca, mostrando il cappello tra i tanti anonimi baschi . Allora il gruppo tattico Susa era parte integrante della Brigata AMF (L) della NATO e capitava sempre di trovare qualche funzionario aeroportuale che, stupito, chiedeva come mai la Svizzera fornisse truppe da montagna all’Alleanza Atlantica. Ma il punto era che gli altri militari sapevano. Sapevano chi eravamo e che cosa sapevamo fare. Nessuna crisi d’identità dunque, nessuna interruzione d’una storica tradizione; anzi, per essere precisi, è stato l’allora sarto del 3º reggimento alpini che nell’estate del 1996 ha trovato una soluzione al problema come fare per mettere la penna sull’elmetto in kevlar senza praticare fori che ne avrebbero compromesso la struttura e la conseguente tenuta alla penetrazione di proiettili e schegge, considerando che il porta penna dell’elmetto metallico modello 1933 era inutilizzabile, stante la differenza di spessore tra i materiali . Bene, la soluzione più ovvia fu quella di cucire una taschina sulla calotta policroma dell’elmetto dove infilare il fermaglio metallico della nappina lasciando libera la parte in stoffa e chiudere, con una striscetta di velcro a strappo, il gambo della penna appena sopra la nappina stessa. Trovata la soluzione, già nell’autunno dello stesso anno i nuclei di ricognizione del reggimento si recarono con tale attrezzatura a Sarajevo, dove il reggimento avrebbe completato lo spiegamento nel gennaio 1997. Di lì a seguire, ovunque in Italia o all’estero, i reparti alpini hanno sempre portato elmetti e calotte con le loro penne e nappine, seppure di colore diverso: ma si sa, la tradizione va rispettata. Più di recente penna e nappina sono state portate con orgoglio, e con pieno merito direi, da tutti gli alpini che si sono avvicendati in Afghanistan, come dimostrano per i meno attenti le numerose fotografie pubblicate proprio su L’Alpino nel corso degli ultimi anni (vedasi ad esempio il n. 5/2003). Gli alpini ritratti nelle fotografie nel 2003 erano a Khost ed a Bagram, oggi nel 2006, sono a Kabul, che si trova sempre in Afghanistan, e sulle teste portano con la medesima fierezza i kevlar con le stesse penne e nappine blu del 9º reggimento alpini della Brigata Taurinense .

    Gen. B. Giorgio Battisti Capo Ufficio Affari Generali dello SME (già comandante della Taurinense e del Contingente Nibbio in Afghanistan)

    Diamo il sorriso a mille bambini

    Sto pensando alle adozioni a distanza. È una iniziativa che molti prendono ma per come nasce e per come è condotta non porta frutti concreti. Io penso a qualcosa fatto con spirito e organizzazione tipicamente alpina: facciamo massa su un’area ristretta di un paese del terzo mondo appoggiandoci ad una o più organizzazioni di missionari italiani; sarebbe come dire adottiamo una o più scuole tenute da questi missionari. Proponiamo che ogni gruppo di 50 alpini o frazioni adotti un bambino. Chiediamo a quegli alpini che lo volessero fare personalmente di farlo sotto il patrocinio dell’Associazione. Così facendo il numero di mille sarebbe raggiunto e superato. Creiamo un collegamento tra ognuno di questi bambini ed il gruppo e chiediamo ai missionari di insegnare la lingua e la cultura italiana. Prendiamo l’impegno per 10/15 anni in modo da portare i bambini adottati alla maggiore età e all’autosufficienza. Ci sono tanti modi per raccogliere i 360 euro all’anno che servono per mantenere un bambino; ve ne suggerisco uno: ogni capogruppo in occasione della cena sociale chieda al ristoratore un euro di sconto per ogni commensale e ad ogni commensale chieda un euro in più. Al tavolo d’onore siedono sempre un certo numero di autorità alle quali gli organizzatori non fanno mai pagare la cena. Lo facciano invece almeno a quelle che portano il cappello alpino, e vedrete che avrete superato la cifra che vi serve per mantenere un bambino adottato per un anno. Fra dieci, quindici anni avremo creato nell’area prescelta un’isola di italianità e di alpinità.

    Vittorio Biondi Pavia

    L’incontro Perona giovani al 1 Raggruppamento

    Dopo aver letto il resoconto dell’incontro del nostro presidente nazionale con noi giovani del 1º raggruppamento esprimo il mio disappunto per la scarsa partecipazione. Non mi permetto di criticare nessuno, in quanto ben cosciente dei problemi ed impegni personali di ognuno: io stesso ho un lavoro e una famiglia che mi tengono molto impegnato. Tuttavia penso che nessuno ci abbia costretti a iscriverci all’Associazione: se l’abbiamo fatto non può essere soltanto per andare alle Adunate ma per fare anche qualcosa d’altro. I giovani degli altri raggruppamenti ce ne stanno dando un esempio. Dobbiamo imparare a non delegare qualcun altro a fare il lavoro per noi. Il presidente Perona ci sta dando l’occasione di dimostrare cosa vogliamo, cosa fare per essere degni dei nostri veci . Se questo invito dovesse essere disatteso, dovremmo avere l’onestà di non lamentarci se non ci sarà spazio per le nostre idee e per i nostri progetti.

    Gianluigi Boarino Coniolo (AL)