Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    C’era una volta l’Iraq


    Sono in Iraq ormai da due mesi e posso azzardarmi a trarre le prime considerazioni da questa mia esperienza. La cosa peggiore di questa popolazione sono le condizioni di igiene; è spaventoso sapere che le aspettative di vita dei bambini sono basse e che quelli che incontro vivono nell’immondizia rischiando di ammalarsi anche gravemente. Spero che il mio lavoro riesca a migliorare la situazione per un domani migliore.
    Se riuscissimo anche solo a dar loro acqua pulita, scarichi per allontanare lo sporco ed educare a tenere pulito, sarebbe un’enorme conquista. Mi sono convinto che ci sono concetti basilari che in passato erano conosciuti dalla gente del posto ma che poi la miseria ha cancellato insieme alla tanto decantata coscienza della propria cultura.
    Qui, infatti, è come se una patina grigia coprisse tutto non solo fuori, ma anche dentro all’anima delle persone così poco curate, così lontane dal desiderare bellezza nelle cose di tutti i giorni, come se ciò fosse loro interdetto per sempre.
    Credo che il feudalesimo violento che hanno vissuto in questa zona, che fu la culla di una delle più grandi civiltà umane, in un posto che ancora porta tracce meravigliose di opere incommensurabili per bellezza e per perizia, abbia assopito, ma spero non cancellato, la loro coscienza.
    Spero che quello che stiamo facendo possa risvegliare anime e coscienze, spero che tutte le volte che sorrido a un bimbo questa sia una scintilla che un giorno accenderà un fuoco forte.
    Nella nostra base non c’è nemmeno un attimo per la vita privata nè un possibile rilassamento interiore. Succede allora che quando siamo di pattuglia, mentre scruto intorno al mezzo attento a quello che succede, attivo un’attenzione interiore che fa sì che, mentre gli occhi si dedicano a decifrare l’intorno e i potenziali pericoli, nel contempo provo piacere a riconoscere dettagli, colori, angoli di bellezza come le foglie verdi di un albero, altrimenti creduto schiantato, gli occhi dei bambini, delle donne per la strada, la temperatura dell’aria, il luccichio del sole sull’acqua. Sono i momenti in cui, paradossalmente, mentre devo essere tutt’uno con la mia squadra la cui vita dipende da me come la mia da essa, posso restare da solo con me stesso.
    Noi italiani siamo riusciti a creare condizioni di pace e di convivenza civile che in altre zone non ci sono, per cui siamo relativamente tranquilli anche se sempre allerta. Ho visto cose che mi hanno convinto della necessità di spazzare via relitti
    feudali come quelli che vigevano qui. Finalmente le persone possono conoscere qualcosa di diverso dalla paura e i bambini, se i loro genitori cominceranno ad averne il coraggio, a sperare in un futuro migliore.


    Vincenzo Di Dato
    Capitano della riserva selezionata Nassiriya



    Splendida naja


    Sono un caporale dell’8º scaglione 2001 che ha prestato servizio presso il 16º reggimento Alpini di Belluno e Le scrivo per congratularmi per la rivista che dirige, in quanto la trovo molto interessante per chi l’Alpino lo ricorda con nostalgia e non potrà mai dimenticarlo. Voglio esprimerLe tutta la mia disapprovazione nei confronti di coloro che ritengono il servizio di leva soltanto un anno inutile ed una perdita di tempo. Mi trovo spesso a discutere con ragazzi che alla prima vista della cartolina di leva rifiutano tale offerta da parte dello Stato, non capendone il valore. Certo che è facile sostenere di essere utili alla società facendo il servizio civile a due passi da casa, per avere le proprie comodità con la scusa di essere contrari all’uso delle armi, proclamandosi difensori del pacifismo.
    Allora mi chiedo: come mai, ad esempio, quando accadono calamità naturali, i primi ed unici ad intervenire sono le Forze Armate e la Protezione civile?Perché non vi è ombra alcuna di coloro che rifiutano le armi e che quindi dovrebbero essere presenti sui luoghi delle sciagure per dare un aiuto concreto alle popolazioni colpite?Non è il caso di chiedersi se realmente queste persone svolgano il loro ‘servizio’ nel pieno interesse della società o se, al contrario, lo facciano per evitare dieci mesi di lontananza dai loro affetti?
    Personalmente ritengo sia opportuno ripristinare la leva obbligatoria a differenza (mi riferisco all’articolo apparso a pagina 3 del numero di ottobre) di chi vuole approvare l’obbligo del servizio civile. Cosa offre di più il servizio civile a differenza di quello (realmente formativo) militare?Devo ammettere che anche io all’inizio della mia esperienza di caserma mi trovavo immerso in una realtà fino ad allora sconosciuta, che al primo impatto mi aveva quasi terrorizzato, ma si sa che i giorni passano e i mesi volano (come dice una ‘nostra’ canzone) e con l’andare del tempo ho creato gruppo all’interno della caserma con tutti i miei commilitoni e con i miei superiori, in particolar modo con i sottotenenti del corso AUC (data la giovane età), verso i quali ho avuto rispetto e stima durante il servizio di leva, che da parte loro si è trasformata in amicizia dopo l’inevitabile congedo. Talvolta ci si telefona e si ricordano i momenti vissuti in caserma con nostalgia e malinconia: segno di aver vissuto una esperienza positiva. Concludo questa mia lettera ringraziando il glorioso corpo degli Alpini per avermi fatto crescere e maturare con il rispetto verso le Forze Armate e soprattutto verso la Patria italiana.


    Paolo Carnaghi Busto Arsizio