Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    LE NOSTRE MISSIONI DI PACE

    La personale diretta esperienza, vissuta con gli alpini in Montenegro, mi induce a esternare un tormento che da tempo mi ossessiona: il doloroso devastante parallelismo storico che sta costando vittime, sacrifici morali e materiali alla nostra comunità nazionale in un impegno di duri scontri in territori lontani dai confini della Patria. In questi ultimi mesi il numero crescente degli scontri in Afghanistan ha provocato perdite sempre più gravi. Il comandante supremo delle operazioni è recentemente venuto in Italia ad esaltare l’eroismo dei nostri soldati ma, soprattutto, per chiedere l’invio di nuove truppe. I nostri governanti come sempre accade nei casi di conflitti armati cercano di minimizzare la realtà che ci vede ormai impegnati a fondo in una guerra senza quartiere e con attacchi e imboscate quotidiani. Nel 1941 42, in Montenegro, dovemmo affrontare una durissima prova che ci costò migliaia di vittime, atrocità inenarrabili e penose distruzioni delle quali ancora oggi ci chiediamo il movente e una qualche giustificazione. Nel caso in esame le vittime non raggiungono i livelli di allora, grazie ai mezzi sofisticati e potenti che hanno sostituito gli scassati carrettini blindati, i fuciloni ’91 dei nostri soldati, vergognosamente male attrezzati anche contro il gelo dell’inverno. Gli alpini, Corpo specialmente addestrato, nei loro molteplici volontari impegni, in pace e in guerra, hanno sempre operato nel più rispettoso silenzio. Dopo la gloriosa Taurinense, la Julia la divisione martire troppe volte annientata e ricostituita è subentrata in quelle aspre montagne afgane, da dove eserciti ben attrezzati e armati, dovettero ritirarsi. Il compianto Mario Rigoni Stern soleva ripetere che non è giusto, armati, portare la nostra regola nel convento altrui. Il grave ruolo assegnatoci fuori dai confini della Patria, accettato ed espletato con onore, non può durare oltre certi limiti, con gravi sacrifici per l’intera comunità nazionale che, oltre tutto, sta attraversando un difficile periodo per i gravi problemi interni.

    Vito Mantia

    N.B. Per un approfondimento storico consultare: Vito Mantia Diario di guerra con gli alpini in Montenegro , Mursia Editore, euro 9.

    L’ELOGIO DEL CAMMINO

    In una riflessione sul possibile significato del Trentatré va sottolineata la saggezza insita nel ritmo del cammino, quella precisa scansione di passi che consente di godere’ della marcia e inserire come soggetto/oggetto del nostro riflettere l’elemento proprio del marciare alpino: lo scarpone. Parlando di piedi e di scarpone, ci appare subito evidente una contraddizione presente nei modi di dire più comuni e diffusi. Da un lato, quando ci si riferisce ad una cosa fatta male o lasciata incompiuta si dice che è stata fatta con i piedi , e contemporaneamente, quando si desidera parlare della vita e la si vuole rappresentare con una metafora profonda ed efficace, si usano frasi tratte proprio dal mondo del cammino: Percorrere la strada della vita , essere sulla strada giusta , perdere la strada , lasciare la via vecchia per la nuova , nella vita bisogna farsi strada , ecc Insomma, i piedi sono al tempo stesso il simbolo di azioni poco apprezzabili e la base su cui si snoda l’intero percorso che porta dalla nascita alla morte. Una contraddizione non da poco! Certo è che i piedi producono comunque risultati: da cuccioli si scopre il mondo alzandosi in piedi, sui piedi poggia da quel momento l’intera nostra esistenza, con i piedi si pigiavano le uve e la lana tosata, con i piedi si danza, con i piedi si va incontro a momenti anche sorprendenti e con i piedi si accompagna l’ultimo viaggio di chi è andato avanti . Ma i piedi dell’alpino, nel momento in cui esprimono la loro alpinità in quel cammino suggerito dal Trentatré, sono fasciati, contenuti, rivestiti, protetti dallo scarpone. Lo scarpone consente di percorrere i sentieri, di attraversare le creste, di aggredire con coraggio prudente una parete rocciosa, di procedere affondando morbidamente nella neve o mordendo con sicurezza il ghiaccio. Insomma, ogni cammino va incontro a sorprese e sono proprio i piedi protetti dallo scarpone a portarci verso la gioia della scoperta. I piedi e lo scarpone sono gli strumenti di un cammino che in montagna, col ritmo scandito dal Trentatré diviene arte del filosofare, disponibilità a riflettere, desiderio di approfondire, voglia di rallentare la corsa della vita provando magari il sottile piacere di venire superati. Sì! Un piacere inusuale e impensabile in una società in cui tutti vogliono arrivare primi. Così succede in montagna! Ma spesso così si presenta anche la vita intera in tutti i suoi aspetti, e lo scarpone dell’alpino la sa lunga sulla vita perché ha percorso molta strada ed è un sociologo attento e un giudice giusto: lui, che cammina sul ritmo del Trentatré, sa cosa sia il filosofare!

    Mauro Biglino

    Pubblicato sul numero di febbraio 2011 de L’Alpino.