Una sfilata lunga 11 ore

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    DI SILVIO MARANZANA

    Il 16 maggio 2004 Trieste vive la più lunga sfilata che abbia mai attraversato le sue vie e le sue piazze. Sono oltre ottantamila, secondo le stime ufficiali, ma secondo alcuni osservatori sono quasi centomila, gli alpini provenienti da tutte le parti d’Italia, ma anche da tutte le sezioni sparse nel mondo, che per undici ore di fila tagliano da un capo all’altro la città. Al loro passaggio è tutto uno sventolare di bandiere, uno scrosciare di applausi, un susseguirsi di ovazioni. Lungo le strade, sulle gradinate, alle finestre, ai balconi si alternano nel corso della giornata 400 mila spettatori, la città è pavesata con 50 mila tricolori.

    La sfilata è una tripla apoteosi: corona tre giorni di caroselli spontanei e abbracci tra vecchi commilitoni, di deposizioni di corone d’alloro e cerimonie, di mostre e concerti, di convegni e incontri con le autorità; stabilisce per Trieste il record italiano di adunate degli alpini (è la sesta dopo quelle del 1930, del 1939, del 1955, del 1965 e del 1984), suggella un momento clou delle manifestazioni per i cinquant’anni del secondo ritorno di Trieste all’Italia che culmineranno il 4 novembre con l’arrivo in città del presidente Ciampi. La diretta televisiva, la consegna da parte del vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini della medaglia d’Argento al Merito civile all’ospedale da campo, la presenza di molte altre autorità, il coinvolgimento di un’area vastissima dal Friuli all’Istria nell’ospitalità data alle penne nere sono casse di risonanza eccezionali per la manifestazione e per Trieste.

    In una giornata di sole splendido, l’atmosfera si riscalda già alle otto e mezza del mattino con la primafanfara, i labari, i gonfaloni, la rappresentanza delle truppe di montagna degli altri Paesi, gli alpini «profughi in Patria» da Zara, Fiume e Pola. Quindi le sezioni sparse nel mondo con gli alpini emigrati. Poi, precedenza alle regioni più lontane. La Sicilia con i suoi 170 uomini duri dell’Etna e della Madonìe, la Sardegna, quelli di Bari, i napoletani con lo slogan «pochi, ma buoni » , il Molise, dove gli alpini sono di casa. Un’aquila di cartapesta è in volo sul vessillo dell’Abruzzo, gli alpini degli Appennini, gli eredi di quelli che bonificarono l’Agro Pontino, quelli della capitale. Penne nere toscane, i soldati delle Alpi apuane, gli alpini del Chianti.

    Quelli di La Spezia e di Imperia che intonano « Le ragazze di Trieste». Dopo il nucleo protezione civile con le unità cinofile e l’ospedale da campo, gli alpini di Genova, la città di Goffredo Mameli. Le tute grigie della Val d’Aosta. Tra gli alpini di Torino uno, classe 1906, che partecipò al primo raduno a Trieste nel 1930 poi, su una jeep, Secondo Roffinella, l’alpino più vecchio d’Italia, 106 anni. Gli alpini cresciuti in mezzo alle risaie di Vercelli, quelli della città del Tricolore, Reggio Emilia. Passano le sezioni emiliane, romagnole, lombarde. Le penne nere della città della Vittoria, Vittorio Veneto, gli alpini di quota zero, cioè di Venezia. Alla fine appare il Friuli Venezia Giulia. L’inconfondibile stella alpina della Carnia fidelis, Udine, Gorizia, Palmanova, Cividale. Alle 18.29, dieci ore dopo l’inizio della sfilata, la sezione della città ospitante, Trieste, con i suoi 230 soci reduci da mesi e mesi di lavoro per l’organizzazione della indimenticabile tre giorni che si conclude con l’arrivederci a Parma nel 2005.