Storia di ordinaria alpinità

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    In Australia, e più precisamente a Sidney, ho rivisto dopo tanto tempo mio zio Ernesto Ravanello di 90 anni. Quando sono entrato in casa sua ho notato bene in vista un cappello alpino: incuriosito e interessato (anch’io ho prestato servizio militare nel Corpo degli alpini, nel btg. Logistico della Julia del 6º/’95) ho chiesto la storia di quel cappello. Nato nel 1920 a Monfumo, sul Montello, ultimo di 10 figli, viene arruolato nell’esercito nel 1939 e subito rimandato a casa, in quanto anche il fratello maggiore era sotto le armi; richiamato alla fine del 1940, viene inquadrato nella 6ª divisione Alpi Graje e sotto il comando del gen. Girotti inviato in nave prima a Malta, poi in Grecia, Montenegro, Serbia. Successivamente ritorna in Italia in Val d’Aosta al confine francese, poi spedito in contumacia con destinazione ignota e arriva a La Spezia dove rimane fino all’armistizio.

    A questo punto in tre (di cui lo zio ricorda, con molta nostalgia ed emozione, anche il nome di uno, Celetti, di Susegana, Treviso, e un friulano) con tre muli, il vestiario e un po’ di cibo, partono per il ritorno a casa, ma quasi subito, al passaggio su un ponte, vengono fermati da soldati tedeschi che requisiscono tutto. Sono costretti a passare gli Appennini a piedi fino a Parma. Qui trovano ospitalità presso una famiglia: in cambio la aiuteranno a nascondere e sotterrare gli averi per evitare la confisca da parte dei tedeschi.

    Dopo qualche settimana partono dalla stazione di Parma per Treviso e dopo varie peripezie e problemi con i soldati tedeschi arrivano a destinazione. Qui i tre si dividono per raggiungere i propri paesi d’origine (mio zio, con gli occhi lucidi e molta nostalgia, mi dice che non si sono mai più rivisti). Mio zio prosegue la strada per il ritorno alla sua famiglia, che nel frattempo si era trasferita a Cavaso del Tomba (Treviso) ma nelle vicinanze della stazione di Pederobba trova l’ultimo pericolo del suo viaggio: i tedeschi di pattuglia sono pronti a sparare a qualsiasi soldato italiano traditore .

    Ernesto si getta in mezzo ai cespugli e attende il loro passaggio. Scampato il pericolo, riparte e arriva finalmente a casa dai suoi cari. La situazione in famiglia non è, però, delle migliori: tanti fratelli da sfamare, poco lavoro e poco da mangiare. Finita la guerra mio zio, nel 1949, decide di emigrare in Australia, dove già c’era la sorella maggiore, nella zona di Canberra: qui, adattandosi a fare i lavori più umili, duri e faticosi, si costruisce una famiglia e ha due figli.

    Dopo aver sentito la sua storia rimango senza parole. Servitore della Patria in guerra ed emigrante speranzoso in lui è rimasto sempre vivo lo spirito alpino di fratellanza e di solidarietà verso i più deboli e i bisognosi. Guardo quel cappello alpino conservato con gelosia e orgoglio, testimone di tante fatiche e sofferenze.

    Quando ci salutiamo, alla mia partenza, lascio a mio zio la maglietta del nostro Gruppo alpini di Monfumo, sezione di Treviso e con grande orgoglio lo iscrivo come nostro socio, un socio importante, un reduce della seconda guerra mondiale, emigrato dall’altra parte del pianeta ma che conserva sempre nel cuore lo spirito alpino e l’amore per la sua Patria.

    Luca Forner

    Pubblicato sul numero di febbraio 2011 de L’Alpino.