Storia di cinque Croci e due eroi

    0
    682

    Questa è la storia di cinque croci, su altrettante bellissime vette delle Dolomiti bellunesi, e di due eroi, uccisi dalla montagna che era la loro palestra di coraggio e generosità. La storia comincia quando tre alpini della Julia – Giorgio Dal Pos, Renato Sartor, Gino Barazza e un amico degli alpini, Giorgio Ottavia, tutti iscritti alla sezione di Conegliano, da sempre amanti delle montagne che circondano San Vito di Cadore, decidono di donare una croce alle cinque vette più amate: il superbo Pelmo, l’Antelao “re delle Dolomiti”, il Sorapis e il Marcora che non sono da meno e infine il Bel Pra, nel gruppo delle Marmarole.

     

    Durante i loro soggiorni cadorini, hanno modo di conoscere, e fare amicizia, con i campioni di alpinismo locali, i “Caprioli”, guide che hanno scalato non solo le varie vette ma che sono state protagoniste di spedizioni nelle più alte montagne del mondo. L’idea nasce nel 2009, durante la visita di alcune di queste guide nella terra degli amici di Conegliano. Si trattò – racconta Renato Sartor – di una riunione conviviale molto “umida, per via del Prosecco, che concilia gli animi”. Ed ecco la proposta delle guide: “Voi vivete nella terra dove si lavora l’acciaio, perché non ci fate delle croci da mettere sulle nostre montagne?”.

    Tutto viene organizzato a tavolino: i veneti costruiranno le croci, i bellunesi saliranno a fissarle alla roccia dopo che un elicottero, preso a noleggio, le avrà trasportate. Tutto è pronto per il giorno di Santa Croce, il 13 settembre. Sul sagrato della chiesa il parroco don Riccardo impartisce la benedizione alle cinque croci, ci sono il sindaco Andrea Fiori, gli alpini di San Vito e i tre alpini di Conegliano con l’amico Ottavian. Un elicottero preleva ad una ad una le croci – alte due metri e 40 – che vengono portate sulle vette e subito imbullonate alla roccia. Missione compiuta. Ma…, ma prima di Natale del 2010 si scopre che, pur in pieno inverno, qualcuno è salito sul Pelmo e ha scardinato la croce. Stupore, indignazione, rabbia degli alpini e della popolazione. Furente anche il parroco, che dal pulpito parla di “mano arrogante, blasfema e vandalica”. Gli alpini di Conegliano decidono con gli amici “Caprioli” e il presidente delle guide di costruire un’altra croce e di riportarla sul Pelmo.

    Il giorno programmato è il 10 settembre, giusto un anno fa: l’elicottero sarà ancora quello pilotato da Diego Menegus, che preleverà la nuova croce e la trasporterà sul Pelmo assieme alle guide Alberto Bonafede e Gian Luigi De Sandre che la fisseranno alla cima come avevano fatto con quella distrutta dal vandalo. Ma Alberto Bonafede non ci sarà, quel giorno. Perché con un’altra guida, Aldo Giustina, sarà chiamato la notte fra il 30 e il 31 agosto a raccogliere l’allarme e la richiesta di soccorso di due escursionisti tedeschi bloccati sul Pelmo. Stavano salendo quando erano stati investiti da una scarica di sassi: uno dei due scalatori aveva un braccio fratturato: impossibile continuare o scendere. È notte e imperversa il maltempo, impiegare l’elicottero è fuori discussione.

    Bonafede e Giustina decidono di partire a piedi e di calarsi dalla vetta a corda doppia fino al punto in cui si trovano i due escursionisti. Tutto procede come previsto, ma quando le due guide sono ad una quindicina di metri dai due tedeschi, si stacca letteralmente una gran massa di roccia – sarà calcolata in 1.500 metri cubi – alla quale sono assicurati con le corde. E precipitano. I due tedeschi assistono impotenti: li vedono passare accanto e precipitare con i massi nello strapiombo. Poi lo schianto, settecento metri più sotto. I due escursionisti saranno tratti in salvo lo stesso giorno. Il recupero del corpo di Bonafede e Giustina da parte dei “Caprioli” si presenta problematico per lo stillicidio di sassi che continua dalla parete. Finalmente sono portati a valle e il 5 settembre riceveranno il saluto di tutti. Don Riccardo all’omelia promette: “Rimetteremo quella croce sul Pelmo anche in memoria di questi padri di famiglia che hanno lasciato tutto per soccorrere degli sconosciuti in pericolo”. E sabato 24 settembre dell’anno corso, la croce è di nuovo sul Pelmo.

    Raccontano gli alpini: “Tutti stretti attorno alla nuova croce abbiamo pregato per Alberto e Aldo. L’abbiamo baciata, perché è il monumento alla loro generosità. Il Signore delle cime li ha messi a guardia delle cinque croci, perché – è certo – che li lascia andare per le sue montagne”. Fin qui la storia, che ha avuto un doveroso epilogo domenica 10 giugno scorso, con il conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Civile alle due guide: “Luminosa e nobile testimonianza di grande coraggio e di umana solidarietà”. Erano in tanti con gli occhi lucidi all’Auditorium di San Vito di Cadore. C’erano i sindaci di tutto il territorio, gli esponenti delle istituzioni, del mondo del volontariato, delle guide e del soccorso alpino, gli alpini del gruppo di San Vito con il capogruppo Lucio Galeazzi e il presidente sezionale Antonio Cason.

    In prima fila Laura Giustina con il piccolo Erik e Marta Bonafede con i figli Alice e Nicola. Il sottosegretario agli Interni Giovanni Ferrara, visibilmente commosso, ha appuntato la Medaglia d’Oro al petto del piccolo Erik e della signora Bonafede. Nessun discorso: “Verso di loro – ha detto il sottosegretario – portiamo il massimo segno di rispetto: il nostro commosso, riconoscente silenzio”. Trattenendo le lacrime il sindaco Andrea Fiori ha promesso: “Queste medaglie sono il nostro debito, il nostro impegno. La comunità veglierà sulla vita delle famiglie di Alberto e Aldo”.