Sempre pronte a lavorare e sopportarci…

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    Le donne degli alpini: come definirle fuori dalla retorica? Sì, perché è passato un secolo e mezzo da quando Giuseppe Mazzini le definì “L’Angelo della Famiglia” e da allora la storia ha fatto passi da gigante. Loro, le donne, sono passate da eroine risorgimentali a coraggiose portatrici nella Grande Guerra, da staffette partigiane nel secondo conflitto mondiale a madri, sorelle e spose di alpini che in tempo di pace hanno continuato a portare la penna nera come un distintivo d’onore mai sbiadito. Oggi alcune di loro portano la penna sul cappello in caserma. Nell’ANA le donne sono presenza attiva, non solo nella Protezione Civile, ma anche nella vita quotidiana del Gruppo.

     

    Talvolta in silenzio, non riconosciute, altre volte determinanti, solerti e preziose nell’assolvere a quei compiti che sovente fanno la fortuna di cerimonie, feste e raduni. In mille frangenti le nostre donne ci sono, rispondono “Presente!” come fecero i loro avi. Questa volta, però, in modo più pacifico sono in cucina a preparare il rancio, dietro un banco a mescere, ad un tavolo a proporre gadget.

    Però, c’è anche un lavoro occulto, fatto di piccoli gesti difficili da scorgere: una bandiera da tagliare e cucire, un addobbo da rendere accattivante, una sistematina al cappello sdrucito dell’alpino di casa, un tocco di femminilità (che non guasta) per rendere un incontro più piacevole. Le nostre donne sono lì, magari con una simpatica maglietta addosso che ci ricorda l’evento che stiamo vivendo, perché altre insegne non hanno da esibire, al contrario di noi che ci “rifugiamo” nel cappello e nella penna e sotto di essi ci sentiamo protetti e sicuri.

    Loro sono sempre pronte all’appello, efficienti e vigili, attente alla buona riuscita di una manifestazione quanto e più degli uomini (Non le vedi mai sedersi su una panchina con l’avviso Verniciata di fresco. Hanno occhi dappertutto, diceva James Joyce nell’Ulisse). E sono lì – almeno lo spero – non solo per farci un piacere o, peggio ancora, perché le abbiamo costrette. No, sono lì perché hanno trovato un ruolo da interpretare, unico, insostituibile e, mi auguro, pure gratificante, che noi alpini dobbiamo riconoscere loro se siamo intellettualmente onesti e non ci lasciamo offuscare da anacronistico maschilismo.

    Nei loro occhi, nei loro gesti, nella partecipazione concreta ai momenti associativi (ma le avete viste ai bordi della sfilata, durante le adunate, sventolare tricolori e gridare Viva gli Alpini?), si può “leggere” un’adesione convinta agli ideali dell’ANA. State pur certi, se una donna non crede in ciò che fa, non lo fa. Perché, almeno al giorno d’oggi, per fortuna nostra e loro, lei si piega molto meno dell’uomo alle convenzioni sociali.

    Pertanto, dobbiamo riconoscere che la presenza delle donne nelle dinamiche dei nostri Gruppi è un tassello importante del nostro agire: la convivenza tra le “due metà del cielo” è un fatto naturale, perché non dovrebbe esserlo anche nei nostri Gruppi? Il maschio più irriducibile potrebbe obiettare che avere a che fare con le donne non è facile. Sull’altro fronte Essere donna è terribilmente difficile, perché consiste nell’aver a che fare con gli uomini, diceva il grande scrittore Joseph Conrad. Ancora una volta hanno ragione gli antichi latini: è nel mezzo che sta la virtù. Lì, nel mezzo di tutte le cose, c’è sempre possibilità di ragionare e collaborare. Anche in futuro.

    Dino Bridda