Radici alpine

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    Le troviamo ovunque, persino in città. Con la testa piegata all’indietro, le osserviamo dal basso. Sono piante secolari, alle volte più giovani. Custodi nei parchi, esse corrono in fila indiana lungo i campi in pianura, abitano sopra alture modeste e alte quote. Ve ne sono infinite specie, differenti per forma, colore e grandezza eppure tutte accomunate da un elemento imprescindibile: le radici. Sono proprio questi getti, elementi fondamentali per la vita della pianta, essi rompono la terra fin nelle viscere, la cingono in una presa serrata, famelica.

     

    E da questa unione scaturisce quel legame essenziale e di diretta dipendenza tra radice e germoglio. Tra l’elemento antico e quello nuovo che spunta timido, cresce, poi sboccia in un tripudio di colori e infine cade e fa ritorno a quella terra che lo ha generato e che ora lo accoglie e di esso si arricchisce.

    Trovo che la natura ci presenti una perfetta metafora della nostra vita. Essa non ha mai mutato nei secoli questo suo procedere conservando l’antica bellezza. Noi uomini pervasi da un senso crescente di onnipotenza, invece, abbiamo creduto che le nuove generazioni potessero crescere senza certezze, senza valori antichi, senza passato. Abbiamo creduto dovessero essere liberi da condizionamenti, da lacci e legaccioli come la naja, inutile perdita di tempo. Lo abbiamo creduto e messo in pratica. E i risultati di tutta questa paventata modernità sono ora davanti ai nostri occhi, sugli schermi di casa: bullismo, black bloc, suicidi. Esasperazione e vacuità. Non dappertutto, però. Ci sono famiglie dove i nonni non rappresentano solo l’alternativa più comoda ed economica a tate e asili nido.

    Al contrario riempiono il nostro zaino personale con ricordi di tempi passati, di visioni ormai inimmaginabili. Ci aiutano a comprendere come occorra equilibrio e ponderatezza nell’affrontare ogni prova. In quelle mani tremanti, in quegli occhi piccoli e un poco nascosti dalle palpebre divenute pesanti ritroviamo noi stessi, la nostra storia. E d’incanto il passato fa la pace col presente e ci rivela il futuro. A questo proposito, vi presento Nicola. Abita nella provincia di Verona, più precisamente a Negrar. Le sinuose colline verdi della Valpolicella lo hanno visto crescere. La sua voce chiara e vibrante svela un’indole aperta. Quasi senza prendere fiato, si libra nel racconto del nonno alpino e della nonna. Delle musicassette che fin da piccolo ascoltava. Erano i canti di montagna, i canti popolari e degli alpini. Cresce così quell’amore per la musica che oggi trionfa quando le sue dita veloci si rincorrono sui tasti tondi e lunghi della sua fisarmonica. Mi dice: “Son quelle tradizioni che abbiamo noi qui…”.

    Che fortuna, penso. Scopro anche che è presidente di un coro ANA e ne va orgoglioso. “Coste Bianche della sezione di Verona”, aggiunge. “Perché gli alpini sono la nostra memoria, ma anche qualcosa di vivo, qualcosa che ti prende e non sai perché. Ho fatto la mininaja: quindici giorni sono pochi, sono solo un assaggio. Però ho avuto modo di conoscere gli ufficiali che ci hanno seguito in questa esperienza. È strano ma hanno saputo, in due settimane, calmare i più esagitati, spronare i più pigri, insegnare a tutti qualcosa che nessuno ci aveva mai mostrato”. “E la cara, vecchia naja? cosa ne pensi tu Nicola?”. “Avrei fatto domanda come volontario se non mi fosse arrivata la proposta di assunzione nelle Ferrovie. Così ho scelto il lavoro, visti i tempi che corrono. Però che magone! Credo che ai giovani servirebbe imparare un po’ di responsabilità, di educazione e di rispetto. Insegnamenti che anche la montagna sa infondere. Io ci vado spesso, mio nonno ci ha lasciato una casetta sui monti Lessini e quando posso torno lassù”. Nicola parla al presente del suo nonno, eppure se ne è andato quando aveva solo un anno. Sorprendente: è il potere d’una memoria viva perché tramandata.

    La presenza diviene superflua, sostituita dal ricordo che è esempio continuo, una traccia di tradizioni e valori che non avranno mai fine. I nonni, i genitori, il paese, la montagna e la musica sono le radici di Nicola, forti e tenaci. Esse gli hanno permesso di germogliare e ora di crescere. Saranno rifugio nelle tempeste che dovrà affrontare nella vita. Saranno sempre quella forza nascosta che non lo abbandonerà mai perché parte di lui. Ecco, vedete, i giovani sono quelli di sempre. Ve ne sono di buoni e di cattivi. Manca la volontà di educarli, di condurli per mano lungo sentieri che arrampicano, sfiancano, ma poggiano lo sguardo su panorami che annientano le parole. E moltiplicano i pensieri. Questa volontà, tuttavia, richiede impegno da parte dei ‘grandi’.

    Siano essi genitori, insegnanti o istituzioni. Più comodo piantar loro in mano un videogioco o lasciarli inebetiti davanti alla tivù. Più comodo criticarli e dimenticarsene. Accorgendosi poi, a distanza di anni, che forse qualcosa potevamo fare anche noi. Basterebbero dedizione e pazienza, dimostrazioni pure dell’amore capaci di modellarci come creta, di restarci addosso per tutta la vita. Basterebbero due mesi della cara e vecchia naja. Domandatelo a Nicola, un giovane di neppure trent’anni con un pezzo di cuore nel passato. Forse è questo il segreto che lo ha reso speciale. È un esempio che chiede d’essere ascoltato da tutti. Ministri e presidenti.

    Mariolina Cattaneo