Quel saluto triste, accanto al grande albero

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    Sto avviandomi, in mezzo a due ali di popolo festanti, verso il luogo dove la mia sezione è chiamata per l’ammassamento. Procedo sotto il sole già caldo del primo pomeriggio, quando sento il bisogno di fermarmi un attimo al lato della strada, sotto l’ombra di un grande albero. Guardo l’orologio che segna le ore tredici e trenta. È ancora presto e decido di riposarmi un po’, quando una signora di circa quarantacinque anni, mi si avvicina e mi chiede quando potrà vedere sfilare gli alpini della città di Verona. Le rispondo che non dovrà pazientare molto perché già stanno passando le prime sezioni del Veneto.

    Instauro ben presto con quella donna un rapporto di amicizia, mi fa capire che nutre un grande desiderio di conoscere più a fondo gli alpini, che non ha mai visto così da vicino, ma soprattutto noto in lei una evidente voglia di parlare. È ansiosa di vedere gli alpini veneti, vale a dire di quella regione dalla quale, tanti anni prima era partito suo padre per venire a lavorare nell’agro pontino; ma anche quelli marchigiani, la terra di origine di sua madre. Le faccio notare però che per vedere sfilare le sezioni delle Marche dovrà aspettare il tardo pomeriggio e le consiglio di recarsi a casa e tornare più tardi.

    Lei mi fa capire, però, che non ha nessuna intenzione di abbandonare la sua postazione, vuole dedicare l’intera giornata all’adunata e poiché ha avuto la gioia di poterla ospitare nella sua città, non le importa nemmeno se dovrà rinunciare al pranzo. Mi sento lusingato per tanto amore nei confronti degli alpini e mi domando che cosa può aver suscitato in lei tanto interesse. Glielo chiedo e mi risponde che è a conoscenza della storia e delle gesta dei soldati con la penna durante le due guerre mondiali, ed anche il loro impegno in epoca più recente, ma vuole capire come quegli uomini riescano a trovare la spinta per mettersi costantemente al servizio degli altri e quale sia la molla che ogni anno li fa chiamare a raccolta in così grande numero.

    Cerco di spiegarle il significato della parola alpinità, quella specie di collante che cementa ed unisce tutti coloro che hanno portato durante il servizio militare, il cappello con la penna e che li tempra e li rende gelosi custodi di particolari valori. Il tempo passa, ma visto che la sfilata ha accumulato un notevole ritardo, non c’è nessuna fretta e la discussione può andare avanti senza problemi.

    Dopo una lunga dissertazione sulla vita degli alpini, quella signora sente il bisogno di raccontarmi il particolare dramma che sta vivendo e le sue parole toccano veramente il mio cuore e mi fanno capire quante tragedie si nascondono a volte nella vita di una persona anonima che per caso ti trovi vicino. Ecco che sono venuto allora a conoscenza dei suoi travagli; abbandonata dal marito in età ancora giovane con una bambina di un anno con gravi problemi che aveva dovuto allevare da sola, già orfana di padre, da pochi mesi ha visto andarsene anche la madre, per un infarto. Appreso infatti che la figlia era stata colpita da una grave forma di leucemia, non aveva retto al dolore.

    Quella signora mi dice inoltre che il ciclo chemioterapico che ha da poco terminato non ha dato i risultati sperati ed è in attesa di fare un estremo tentativo, il trapianto di midollo. Si rende perfettamente conto che il suo futuro è incerto e la cosa che più la addolora è il pensiero di dover lasciare da sola la figlia ventenne, che ha ancora tanto bisogno di lei. Dimostra però coraggio quella madre ancora giovane, perché anche se la sua vita è appesa ad un filo, si è ripromessa di viverla intensamente giorno per giorno, senza pensare al domani.

    Alle mie parole inutili e di circostanza, pronunciate soltanto con un chiaro intento consolatorio, segue una sua frase secca e decisa: Non so quanto mi è ancora concesso di vivere, ma sono stata fortunata perché ho potuto avere la gioia di vedere gli alpini qui nella mia città e questa giornata voglio trascorrerla per intero in mezzo a loro . Sono visibilmente commosso e rimango senza parole perché quella donna con la sua forza di animo mi ricorda gli alpini migliori, coloro che per il loro coraggio sono stati di esempio a tutti noi. Il tempo scorre ed arriva anche il momento nel quale ci dobbiamo salutare.

    Due persone hanno avuto la possibilità di conoscersi, di parlarsi e di comprendersi, ma tutto deve poi tornare come prima ed il breve incontro è destinato a rimanere soltanto nella loro memoria. Prima di andarmene le faccio gli auguri e la saluto, ma mi sento rispondere che mi aspetterà in quel preciso punto, perché dopo aver atteso gli amici marchigiani guarderà sfilare anche Pisa Lucca Livorno, la mia sezione.

    Quando nel tardo pomeriggio, mi trovo finalmente a passare assieme ai miei compagni vicino a quel grande albero, rivedo la signora, mi sorride, agita la mano in segno di saluto e noto nei suoi occhi un velo di commozione. È accaduto uno dei tanti piccoli miracoli dell’adunata; in quel caldo pomeriggio di domenica 10 maggio 2009, in un viale di periferia della città di Latina, un cuore immerso nel buio dell’angoscia ha visto spuntare improvviso, portato dal suono delle fanfare e dai canti degli alpini, un raggio di sole.

    Roberto Andreuccetti

    Pubblicato sul numero di luglio agosto 2009 de L’Alpino.