Operazione Albatros, vent’anni dopo

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    È stato il calendario dell’Esercito – che quest’anno rievoca con le suggestive fotografie di Mauro Galligani trent’anni anni di missioni dell’Esercito italiano nel mondo – a riportarci alla prima missione degli alpini all’estero (se si esclude una ridotta partecipazione al Libano ’82). Fu esattamente vent’anni fa e il terreno di operazioni fu il Mozambico, a ottomila chilometri dall’Italia. Era stato il Parlamento italiano ad accogliere nel dicembre del ’92 l’invito dell’ONU per l’invio di un contingente militare italiano nell’Africa australe.

    In un rapidissimo susseguirsi di giorni intensi, in quello stesso dicembre, il consiglio di sicurezza dell’ONU approvò la risoluzione 797 che autorizzava l’operazione ONUMOZ (United Nations Operation in Mozambique) e subito i riflettori da Roma o da New York si spostarono incredibilmente sulle montagne piemontesi dove gli alpini affrontavano un duro addestramento; o nelle caserme di Pinerolo, Rivoli e Torino, dove “maximis itineribus”, avrebbero scritto gli storiografi di Roma, ovvero a tappe forzate, si mise mano alla preparazione dei materiali e dei veicoli: in particolare, questi dovevano essere pitturati di bianco e riportare le insegne dell’Onu.

    La prima nave a salpare da Genova si chiamava Arcade Eagle e aveva come destinazione il porto di Beira con il suo carico di mezzi, rimorchi, containers e velivoli. Il 21 febbraio 1993 da Torino partì un nucleo avanzato di 23 ufficiali destinati a perlustrare il corridoio di Beira, ovvero la fascia di collegamento tra il mare e lo Zimbawe (l’ex Rhodesia del sud) in terra mozambicana per risolvere tutti i problemi logistici: in primis la localizzazione degli accampamenti. Poi dall’aeroporto di Torino Caselle, dal 2 al 30 marzo la partenza, un volo dopo l’altro, di tutti gli alpini. Alla fine di quel marzo il contingente, battezzato “Albatros” era già completamente schierato.

    Due parole sul Mozambico, dominio portoghese fino alla caduta del regime di Salazaar e Caetano, divenuto indipendente insieme all’Angola nel 1975. Come in Angola l’indipendenza fu la miccia di una sanguinosa guerra civile durata diciassette anni con un saldo terrificante di oltre un milione di morti, un milione e settecentomila profughi, quattro milioni di sfollati nelle campagne. A battersi fra il mato, la savana e i parchi come quello di Gorongosa le due fazioni: FRELIMO (fronte liberazione del Mozambico) fraternamente finanziato e armato dall’Urss e da Cuba; e la Resistenza nazionale Mozambicana (RENAMO) sostenuta dall’occidente tramite il Sudafrica. Diciassette anni di una versione di guerra fredda, fatta per procura, in Africa, nel cuore degli anni Settanta fortemente impregnati di ideologia: ma a noi ciò che interessa è che, ormai allo stremo, le due fazioni accettarono di dialogare, anche per la forte pressione della Chiesa.

    Furono necessari ventisette mesi di colloqui tra il governo del FRELIMO e i ribelli della RENAMO finché il 4 ottobre del 1992 gli accordi di pace vennero firmati nella sede della Comunità di Sant’Egidio, nel quartiere di Trastevere a Roma. Gli accordi affidavano all’Onu la corretta attuazione del trattato. E l’Onu la trasformò in una serie di regole di ingaggio per il contingente Onumoz. Cioè per gli alpini. La storia di “Albatros 1” è la storia del contingente italiano: 600 giorni e 600 notti. Da marzo a ottobre ’93 la Taurinense; e poi, fino ad aprile ’94, la Julia. Con il rientro del grosso del contingente degli alpini piemontesi e friulani rimasero ancora un tempo presso l’aeroporto di Beira duecento alpini del reparto sanità (Albatros2). Toccò alla brigata Taurinense, addestrata negli anni con le operazioni in Norvegia e Turchia, dove era inserita nella Forza Mobile della Nato, muoversi da pioniere.

    Poco più di mille uomini, 500 veicoli e camion, 25 blindo leggere, 8 elicotteri e 3 aerei leggeri. La zona affidata agli alpini era quella centrale del Mozambico, come si è già detto: un corridoio di 300 km tra l’oceano Indiano e il confine con ex Rhodesia, ora Zimbawe. I due corridoi di Beira e di Tete e la statale 1, verso Maputo. Dopo l’allestimento dei campi, la Taurinense diede il via alle operazioni per garantire libertà dei movimenti (scorta ai convogli stradali e ferroviari); la sicurezza degli impianti e dei punti sensibili, come l’oleodotto e l’allestimento delle aree di raccolta per gli ex combattenti. Toccò poi alla Julia subentrare e affrontare la delicatissima fase di raccolta, trasporto e stoccaggio delle fazioni in smobilitazione e garantire le prime libere elezioni. Il Mozambico viene ancora oggi considerato dai suoi protagonisti una esperienza unica e irripetibile e dire che l’Italia in quegli anni ’93/’94 era impegnata anche in Somalia e in Albania.

    L’esercito stava preparandosi al futuro. Il disegno era quello di creare in tempi brevi un nucleo costante di brigate e reggimenti formati da professionisti da impiegare in eventuali richieste esterne. Il Mozambico fu però qualcosa di originale e irripetibile e non sapremmo come definire il caso di militari di leva impiegati in una missione all’estero. Per giunta a forte reclutamento regionale. Il gen. Claudio Graziano che ora è ai vertici dell’Esercito italiano e che vi partecipò come comandante del battaglione Susa a Chimoio scrisse nella rievocazione affidata ad un libro intitolato Soldati Blu che si è trattato di una operazione di peacekeeping da manuale. C’erano stati 17 anni di guerra che avevano esaurito le forze dei due contendenti; c’era un popolo stremato ed infine un mandato chiaro dell’ONU.

    Queste sono anche le ragioni del successo, con la felice scoperta per gli alpini, che la sicurezza dell’Italia si poteva garantire anche a migliaia di chilometri di distanza. Non c’è più stato un altro contingente Albatros. La leva è stata sospesa e non ci sono più stati soldati coscritti inviati all’estero. Quelli di Albatros oggi padri di famiglia, lavoratori, pienamente inseriti nella società italiana hanno mantenuto un forte vincolo di ricordi e anche di nostalgia. Nel corso dell’Adunata nazionale di Piacenza, ci sarà uno spazio anche per ricordare i 20 anni dal Mozambico. Si sta allestendo un programma di rievocazione e rincontro che prevede anche la possibilità di far sfilare tutto il contingente di allora, ne parleremo nei prossimi numeri.

    Gian Franco Bianco