Leva obbligatoria

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    Leggo la “lettera al direttore” de L’Alpino di novembre (pag. 4), e nella risposta a Massimo Tessitore si dice che la leva obbligatoria è stata sospesa da un governo di “segno opposto a quello attuale”, ovvero un governo non presieduto da Berlusconi. Premesso che scrivo il giorno dell’insediamento del nuovo governo Monti, devo sottolineare un errore non da poco, visto che il giornale è andato in stampa prima di quest’ultimo avvenimento.

    La legge 226 del 23 agosto 2004, che per l’appunto sospese la leva obbligatoria, fu approvata sempre con un governo presieduto da Berlusconi (il secondo, in carica dal 2001 al 2006), fatto, a mio modo di vedere, non sufficientemente sottolineato dalla allora linea editoriale de L’Alpino. Gradirei una rettifica.

    Alfonso Sgubin

    L’errore è sempre possibile (l’infallibilità, come la verità, ce l’hanno fortunatamente in pochi ed è preferibile evitarli), ma nella risposta alla lettera che segnali non ce n’è traccia. Ricordo che la sospensione della leva è stata decretata dal governo Amato in ottemperanza a leggi del 1999 e 2000. È la data di anticipo al 1° luglio 2005, anziché al 2006, che porta la firma di un governo di destra. Se conservi le copie de L’Alpino, nel numero di dicembre 2000, trovi (copertina e pagine 7/9) la cronaca della manifestazione di contestazione organizzata dall’ANA, fatto unico nella storia della nostra Associazione, in piazza Navona e davanti al Senato, con Labaro, presidente nazionale, CDN e alcune migliaia di alpini scesi a Roma muniti di striscioni proprio nelle ore in cui nelle aule di Palazzo Madama si discuteva la fine della leva obbligatoria. È doveroso dare atto al presidente Parazzini di essersi battuto leoninamente, confrontandosi in stile alpino con ministri della Difesa e parlamentari, senza complessi di sudditanza, per far comprendere che un enorme patrimonio di sacrifici e di servizio gratuito alla Patria non poteva essere professionalizzato e che con quel provvedimento si toglieva alle nuove generazioni l’opportunità di una scuola che le legittimava al diritto di cittadinanza. La necessaria ristrutturazione dell’esercito, in vista soprattutto degli impegni all’estero, “poteva passare attraverso modalità diverse e meno drastiche”.