Lettera al mio campione

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    Gentile direttore e sua redazione, sono l’alpino Giacomo Gruarin del gruppo di Bagnarola-Ramuscello (Pordenone). Negli anni 1991-92 ho svolto il servizio militare nella fanfara della brigata alpina Julia a Udine. Fortunatamente, oltre ad essere alpino, sono anche il papà di due splendidi bambini: Pietro di 7 e Francesco di 1 anno. Ho voluto spedirvi la foto che mi ritrae con i miei due bimbi e scrivervi questa lettera come mi ero promesso lo scorso anno. Il 6 gennaio, dopo solo 26 settimane di una difficilissima gravidanza per cercare di salvare mamma e bambino, i medici dell’ospedale di Udine intervengono d’urgenza e fanno nascere cento giorni prima del previsto il nostro piccolo Francesco di soli 572 grammi!

    Furono momenti durissimi per tutti noi, quel bambino che qualche giorno prima i medici di Milano davano già per spacciato nella pancia della mamma, era invece lì a lottare da solo contro la morte. Intubato per molto tempo, colpito nei primi giorni da due gravi infezioni, bucato da un’infinità di aghi, collegati ad un’altra infinità di macchinari, sottoposto a numerose trasfusioni, non voleva mollare! MAI DAUR (mai indietro) come recita in friulano un motto della nostra brigata Julia. In pochi giorni le candele accese per aiutare Francesco illuminavano tutte le chiese dei paesi vicini, alle nostre preghiere si unirono quelle degli amici, parenti, colleghi, conoscenti (e non) e anche quelle del nostro vescovo.

    Nelle settimane successive alla nascita, la lenta ma progressiva crescita di Francesco, faceva contemporaneamente crescere le speranza e il nostro morale di genitori. Le giornate scorrevano sempre uguali: lavoro, in ospedale a Udine (che dista 45 km) di nuovo a casa (per stare vicino anche a Pietro, il nostro primo bambino), cena, doccia e letto. In camera, la presenza sul comodino (come sempre) de L’Alpino, La più bela fameja e Il Popolo (settimanale diocesano) mi permettevano per alcuni momenti di rilassarmi e pensare ad altro. Vi assicuro che ne avevo tanto bisogno e per questo vi scrivo questa lettera personale per dirvi con tutto il cuore GRAZIE… Da tanti anni ormai è mia consuetudine lasciare per ultimi gli articoli del nostro giornale che riguardano le guerre di Grecia e Russia, leggerli mi appassiona tanto. Simili ma mai uguali, raccontano sempre di quel povero ragazzo strappato dalle braccia dei genitori e mandato a combattere in un paese lontano e sconosciuto a far parte di una guerra che non voleva. Mal equipaggiati, contro un nemico più forte e meglio organizzato, i nostri soldati dovevano combattere anche contro la fame e le insidie del freddo inverno.

    La tenacia, la forza e anche la fortuna di soli pochi soldati riescono a vincere la morte, e fan ritorno a casa dopo atroci sofferenze, dalle loro famiglie che mai li avevano abbandonati. Nei primi giorni di febbraio leggevo proprio una di queste storie (della Russia) su L’Alpino e mentre la leggevo, piangevo come un bambino. Piangevo (e tuttora quando ci penso mi commuovo) perché pensavo al mio Francesco, strappato anche lui dalle braccia della sua mamma e del suo papà senza volerlo, indifeso, innocente, mal equipaggiato (572 gr.) stava anche lui combattendo un nemico spesso più forte di lui.

    L’impotenza dei medici in certi momenti era come l’impotenza dei nostri alpini contro il freddo, la fame, le malattie; le due gravi infezioni che colpirono il fragile corpicino di Francesco sono state come le terribili raffiche delle mitragliatrici contro i nostri poveri soldati mentre le premurose infermiere che a turno lo seguivano minuto per minuto erano per me quelle coraggiose donne delle isbe che per sfamare gli alpini mettevano a repentaglio la loro vita. Ringraziando il Signore, nelle tradotte che riportavano a casa i nostri valorosi soldati dal fronte, c’era anche il mio “reduce” Francesco!!! Centocinque giorni di ospedale a Udine di cui 85 in terapia intensiva; mai un solo giorno il suo papà e la sua mamma lo hanno lasciato solo.

    Oggi mentre vi scrivo da pochi giorni è passato un anno da quando il nostro campione è arrivato a casa: pesa 8,5 kg, non ha bisogno di fisioterapia, è un bimbo dolce, buono, bravo e sicuramente tanto forte! Caro direttore e cara direzione adesso che vi ho scritto mantengo la promessa fatta a Francesco in quei difficili mesi mentre lo guardavo dentro l’incubatrice della terapia intensiva. Con la filarmonica del mio paese (Bagnarola) in cui sono ormai da 26 anni, abbiamo aperto all’Adunata di Bolzano la sezione di Pordenone, da molti anni ormai ne siamo la banda ufficiale.

    Giacomo Gruarin – Bagnarola (PN)

    Caro Giacomo, ho ricevuto la tua lettera. L’ho letta, riletta. L’ho rigirata tra le mani come una reliquia, mentre mi venivano in mente le parole di Agostino, quando dice che l’uomo è capax Dei, ossia capace di infinito. Sì, perché, leggendo quanto scrivi, si ha l’impressione che il bene non abbia misura. Come il male, del resto. Ho letto la tua lettera più volte. Oltretutto hai una straordinaria dote di scrivere e descrivere coinvolgendo chi ti legge. A me è venuta la pelle d’oca e m’è venuto anche il groppo. Non so se per la tua capacità di sprigionare i sentimenti, oppure per l’ammirazione e la stima che sentivo crescere dentro, verso di te e la tua famiglia. Oppure per tutti e due questi motivi insieme. Ciò che è accaduto nella tua casa è qualcosa che supera i confini della norma.

    Non solo per la salvezza di un bambino che la scienza dà per spacciato, ma per tutte le altre virtù che si sono intrecciate, trasformandosi nelle perle di una lunga collana. C’è l’amore di un padre, di uno sposo, c’è la fede che risveglia città e paesi, c’è la fatica senza risparmio e la speranza senza limiti. C’è la pazienza dell’amore e la combattività dei forti… Leggendoti ci hai fatto nascere la speranza che tutti i bambini e tutte le spose possano avere accanto un papà e un uomo come te.

    Caro Giacomo, tu sei un grande alpino, ma lo sei perché prima ancora sei un grande uomo. Conservo l’originale della tua lettera nel cassetto della scrivania de “L’Alpino”. Vorrei ridartela in originale quando avrò l’onore di incontrarti. Te la darò perché i tuoi figli, leggendola un giorno, possano capire di che pasta era fatto il loro papà. Anche se sono sicuro che, nel frattempo, avranno avuto modo di sperimentarlo restandoti accanto. Allora, all’università della vita, il 110 cum laude non te lo toglierà nessuno.