L’ANA al femminile

    0
    2474

    Prima ancora che nell’Esercito, le donne sono state arruolate, meglio, accolte, nell’Associazione Nazionale alpini. Una presenza spontanea e generosa, di supporto e aiuto in tanti momenti: per fare la cuoca o il medico, l’infermiera professionale o l’istruttrice di cani da ricerca, la centralinista o nei tanti altri compiti che un intervento di Protezione Civile o di vita associativa comporta. Ne abbiamo tratto lo spunto per dedicare alle donne dell’ANA una serie di servizi, che non sono certo esaustivi dell’attività delle nostre compagne, ma una sia pur parziale presa d’atto della loro presenza in Associazione. Per non parlare del difficile ruolo di moglie e di madre, spesso assolto anche in vece del marito quando “va con gli alpini” lasciandole a casa. E poi ci sono le alpine, con le stellette e il cappello in testa, che svolgono gli stessi compiti dei commilitoni, in Patria e nelle missioni all’estero. E che dire delle giovani che sono venute fra noi attraverso la mininaja, dimostratesi subito in sintonia con i nostri valori. A tutte diciamo: “grazie”.

     

    Tacchi a spillo e solidi scarponi

    Come donna e come “amica degli alpini” (esiste anche questa frangia nell’A.N.A.) mi sento onorata e orgogliosa dell’ingresso dell’altra metà del cielo nel glorioso Corpo delle penne nere. Purtroppo, l’imperiosità e l’impietosità dell’anagrafe danno l’alt alla mia partecipazione. A chi la tocca, la tocca, diceva il manzoniano Tonio; a me non è toccato, ma gioisco dell’ideale raggiunto da altre. Senza arrampicarsi sullo stereotipo dell’equiparazione fra i sessi, l’onore e l’orgoglio di cui sopra sono ascrivibili anche alla considerazione che la donna-soldato- in tempo di pace, in virtù delle valenze etico-sociali di cui è latrice, vanifica l’immagine che soprattutto i mass-media propongono come modello della contemporaneità: la donna-oggetto, quella che è privata, ma anche che si lascia privare, della sua dignità perché indaffarata a protendersi verso notorietà, successo, danaro.

    Costi quel che costi. Spettacoli televisivi, cartelloni stradali reclamistici, pagine pubblicitarie fanno a gara nel presentare, spesso senza neppure attinenza logica, immagini da trivio. Eccolo là, il corpo della donna, a fare da protagonista. Sbatti il mostro – scusate, la bella – in prima pagina. La legislazione italiana è molto meno attenta alla tutela dell’immagine femminile rispetto ai parametri europei; fotografi e pubblicitari italiani hanno un più compiacente disco verde dei loro colleghi esteri nell’uso del “mezzo” muliebre, il pubblico è ormai assuefatto e non più in grado di valutazioni critiche e consequenziali ricusazioni.

    La donna-oggetto rallegrante è pagisempre esistita, basti pensare ai calendarietti profumati dei barbieri o ai poster a far da tendine parasole ai finestrini dei camion; ma oggi, in una società che preferisce l’apparire all’essere, il modello volgare e deleterio è arrivato ben oltre l’oltre. Una minoranza la fauna femminile godereccia e siliconata? Forse, chissà, speriamo, ma la sua cassa di risonanza è purtroppo molto più amplificata di quella di eserciti di casalinghe affannate, operaie affaticate, insegnanti oberate, soldatesse sull’attenti, in sfilata, in donazione di sé pur di ripristinare ordine e pace dove corre il vento della violenza. Perciò, tra i tanti esempi che si possono addurre, la donnasoldato- in tempo di pace è alternativa riequilibrante e consolante. Grazie, dunque, alle tute mimetiche al posto dei lustrini, agli scarponi piuttosto che ai tacchi a spillo, all’esempio di bella audacia invece che di audace bellezza.

    Non vallette, veline, letterine con copricapi di piume di struzzo, ma solide, giovani ragazze con un verde cappello di feltro da cui spunta… toh, una penna lunga e nera che “serve da bandiera”. La bandiera sventolante nel silenzio benedetto della concretezza dove si sognano ugualmente splendidi obiettivi anche se non illuminati dai riflettori. Evviva dunque ai Corpi (C maiuscola, stavolta) femminili, qualunque sia la loro specificità militare. E se poi fra le donne-soldato- in tempo di pace, chi scrive queste note preferisce le alpine, nessuno, per favore, si offenda: è del tutto naturale che la pensi così un’amica degli alpini. Anzi, guai a lei se fosse il contrario.

    Marcella Rossi Spadea