L’abbraccio del Friuli alla sua Julia

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    “Luca Sanna”…, chiama ad alta voce il generale Marcello Bellacicco. È una voce che si fa roca per la commozione e gli alpini della Julia schierati davanti a lui in piazza Primo Maggio, a Udine, con le Bandiere di guerra dei cinque reggimenti della brigata e i lagunari della “Serenissima” rispondono con un grido: “Presente!”. Lo diranno altre sei volte, dopo il nome di Massimo Ranzani, Matteo Miotto, Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi, Sebastiano Ville e Marco Pedone, i loro compagni uccisi in Afghanistan durante i sei mesi di missione in quel paese splendido e tormentato dal quale sono finalmente tornati.

    Sei mesi d’una missione difficile e pericolosa, affrontati con grande senso del dovere, con professionalità ma anche con generosità e umanità tipiche dell’alpino. Armati, ma in missione di pace, per proteggere, aiutare e dare sicurezza agli abitanti di città e villaggi d’un territorio vasto quanto la Pianura Padana. Grazie a loro sono state stabilizzate “bolle di sicurezza” all’interno delle quali i villaggi sono rinati, i bazar sono stati riaperti, così le scuole; è ripreso quel sottobosco di attività che ha fatto quasi dimenticare chi tutto questo non lo vuole, compie razzìe, attentati contro i nostri militari.

    Missione compiuta, dunque, per gli alpini del 7° di Belluno che nella provincia più meridionale, la più insidiosa come dimostrano i suoi cinque Caduti, ha ristabilito condizioni minime di sicurezza; per quelli dell’8° di Cividale, grazie ai quali sono tornati nei villaggi di Bala Murghab diecimila afgani; del 5° di Vipiteno che ha operato con le stesse modalità nel Gulistan; del 3° artiglieria da montagna di Tolmezzo, la cui azione nella provincia di Herat è stata indicata come esempio all’intero contingente ISAF. E che dire del 2° reggimento genio guastatori alpini di Trento, che giorno dopo giorno ha dato sicurezza ai nostri convogli, sminando piste insidiose e recuperando i micidiali Ied, gli ordigni fabbricati artigianalmente che hanno provocato tante vittime. Quanto ai lagunari della Serenissima si sono perfettamente integrati con gli alpini, dimostrando professionalità e valore.

    *

    Il rientro della brigata Julia si è svolto alla presenza del capo di Stato Maggiore dell’Esercito gen. C.A. Giuseppe Valotto, del comandante delle Truppe alpine gen. C.A. Alberto Primicerj, e dei generali Claudio Mora comandante del 1° FOD e Paolo Serra, capo del 4° reparto logistico dello Stato Maggiore Esercito. C’erano le massime autorità civili: il prefetto Ivo Salemme, il sindaco Furio Honsel, il presidente della Regione Renzo Tondo e tanti sindaci, del Friuli e del Veneto. L’ANA è massicciamente presente, con il Labaro, il presidente nazionale Corrado Perona e una dozzina di consiglieri nazionali, una trentina di vessilli con i rispettivi presidenti di Sezione, centinaia di gagliardetti e tanti, tanti alpini attorno ai quali, nonostante la giornata feriale e una pioggerella costante – era venerdì 29 aprile, la ricorrenza di Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia – si sono stretti gli udinesi e quanti erano arrivati da tutto il Friuli e il Veneto.

    La celebrazione era iniziata di primo mattino con l’alzabandiera in piazza Libertà, poi la sfilata dei reparti fino in piazza Primo Maggio per il bentornato ufficiale delle autorità ai sei reggimenti. Alpini e lagunari sono stati accolti con applausi che volevano esprimere la fine di tanti affanni, ma anche amore, ammirazione, orgoglio. Passavano alpine e alpini in tuta mimetica, passavano fieri i lagunari dal basco verde, i volti ancora tesi esprimevano fermezza.

    “Bravi”, si sentiva dire dalla gente, dalle finestre: quanto orgoglio, quanto rispetto per questi nostri soldati che si sono guadagnati sul campo la stima dei militari e dei comandanti degli altri contingenti, primo fra tutti il comandante in capo della forza multinazionale, il generale Petraeus, per il quale il modello vincente è proprio quello alpino. “Per noi questa è una giornata particolare – ha esordito il generale Bellacicco – Rientriamo nella nostra terra, tra la nostra gente, nella nostra Patria dopo una missione dura e impegnativa. Ma riteniamo di aver conseguito i risultati prefissati.

    Ho avuto l’onore e il privilegio di comandare in Afghanistan migliaia di uomini, che non si sono mai tirati indietro, non hanno mai ceduto neanche nei frangenti più delicati. Il mio grazie va a tutti loro”. Bellacicco ha quindi ringraziato le associazioni d’arma che hanno dato sostegno alla brigata, prima fra tutte l’ANA, con gli aiuti raccolti dalle Sezioni e dai Gruppi. Sono stati aiuti dei quali ha usufruito la popolazione afgana, che hanno reso più tangibile il loro aiuto e caratterizzato la missione italiana. Poi l’appello, nome per nome, dei Caduti: il momento più commovente.

    “Siete l’orgoglio della città – ha detto il sindaco Honsel che non riusciva a contenere l’emozione – per il coraggio dimostrato e per gli ideali che vi hanno portato a fare questa scelta di vita. Avete suscitato l’ammirazione di tutto il Paese. Grazie per quello che avete saputo fare, che rappresenta una lezione per tutto il mondo”. Gli ha fatto eco il presidente della Giunta regionale, Tondo: “Porto il mio commosso abbraccio a tutti voi che avete affrontato una missione difficile con l’insidia del terrorismo sempre presente. Un terrorismo che ha fatto vittime, ma questo non vi ha fatto vacillare, avete dimostrato tenacia e umanità. Sappiamo di poter sempre contare su di voi”. “Siete stati bravissimi, bravissimi, bravissimi – ha esordito il gen. Valotto – Avete saputo conquistare la fiducia degli afgani. In questa missione avete pagato un elevatissimo tributo di sangue.

    Perdite dolorosissime. La nostra affettuosa vicinanza va alle famiglie dei nostri Caduti”. Particolare affetto è stato dimostrato dalle autorità in tribuna ai genitori dell’ultimo Caduto in ordine di tempo, il capitano Massimo Ranzani e alla mamma del caporale Luca Barisonzi, rimasto gravemente ferito. Per questo nostro alpino che resterà paralizzato e dimostra una straordinaria forza d’animo, l’Associazione ha in programma la costruzione di una casa in cui possa vivere. In margine alla cerimonia del rientro della Julia, nell’ambito dei festeggiamenti per il 90° della sezione di Udine, sono state premiate le classi di 4ª e 5ª elementare che hanno partecipato al concorso sul tema “Alpini di ieri, Alpini di oggi uniti al servizio della Patria”. Il primo premio è andato alla scuola di Magnano in Riviera. **


    “I miei magnifici alpini mi hanno dato una lezione da uomini veri e grandi italiani”

    Generale Bellacicco, lei è appena tornato dall’Afghanistan con la Julia. Sono stati mesi densi di attività, rischi, con sette Caduti e qualche ferito anche grave. Di quest’esperienza che cosa si porta nello zaino come Comandante e come uomo?

    “La missione in Afghanistan è indubbiamente un’attività operativa molto impegnativa e, talvolta, anche dura che mette severamente alla prova tutte le risorse umane e materiali di un’Unità. Anche il Comandante della Regione Ovest non sfugge a tale grande impegno, considerando che, quale “Comandante NATO”, ha alle sue dipendenze anche Unità di altre nazioni (tra cui circa 2.000 statunitensi e 1.500 spagnoli), per cui la sua responsabilità non si limita ai confini nazionali, ma risponde del suo operato anche in ambito Alleanza e verso altre nazioni”.

    Questo come Comandante NATO. E come Comandante della Julia?

    “Posso affermare con grande emozione che è un Comandante assolutamente orgoglioso della sua Brigata, pienamente convinto che il suo comando e i suoi reggimenti hanno assolto i compiti al meglio delle possibilità, dimostrando di saper ben operare sotto il profilo tecnico, ma soprattutto di aver conseguito un livello di capacità operativa che li pone tra i migliori reparti di cui la missione ISAF ha potuto disporre. Ma il mio primo pensiero va ai miei, ai nostri alpini. L’ho sempre detto e dichiarato in ogni circostanza. La cosa principale che mi porto nel cuore è quello che ho visto fare dai nostri ragazzi. Ho qualche anno di servizio alle spalle e anche qualche esperienza di comando, per cui ritengo di avere le prerogative per una valutazione oggettiva e obbiettiva. I nostri alpini hanno conseguito una maturazione professionale incredibile, ma ciò che li distingue è il modo con cui esprimono tali capacità. Durante i “nostri sei mesi in Afghanistan” ho girato in lungo e in largo tutta l’area di nostra competenza, raggiungendo più volte tutte le posizioni tenute dai nostri ragazzi. Li ho trovati sempre pronti, sempre disponibili, sempre coinvolti, sempre orientati all’assolvimento del loro compito, ma, soprattutto, sempre sereni. Neanche nei momenti più duri, in quei difficili momenti che si associano inevitabilmente ai nomi dei nostri alpini “andati avanti” ho visto qualcuno anche solo tentennare. Mai! È stata una lezione grandissima, una lezione che i miei alpini mi hanno dato come Comandante e come uomo. Una lezione da uomini veri, da autentici alpini e da grandi Italiani”.

    I suoi uomini sono tornati sicuramente maturati sotto il profilo professionale e sotto quello personale. Quanto possono incidere nella loro crescita sei mesi in condizioni di estrema tensione psicologica?

    “È ovvio che un’esperienza operativa come quella maturata in Afghanistan in questi sei mesi lasci la propria indelebile traccia nella nostra personalità e nella nostra professionalità. Sono stati mesi intensi che ci hanno impegnato ed arricchito sotto tutti gli aspetti: morale, umano, psichico e professionale. Non si può però dimenticare che l’Afghanistan non lo si affronta senza un adeguato approntamento. I nostri alpini si erano preparati duramente e con attenzione per tutti gli aspetti operativi, con attività addestrative individuali e di reparto. Ma ritengo che, al di là degli aspetti puramente tecnici, pur sempre importanti, il lato in cui hanno ampiamente dimostrato di essere veramente pronti per operare in un contesto difficile come quello afgano sia stato quello motivazionale. Se non sei motivato, se non sei convinto di chi sei e di quello che vuoi e devi fare, non c’è preparazione tecnica che tenga, certe situazioni di grande stress fisico, psicologico e professionale non le reggi e, soprattutto, non le conduci a buon fine. Credo che da un’esperienza forte come quella afgana si possa uscirne fortemente provati oppure stanchi ma arricchiti. I nostri alpini ne sono usciti certamente stanchi, ma sicuramente arricchiti”.

    In Afghanistan le aree di sicurezza si sono allargate e l’organizzazione dello stato afgano sta lentamente crescendo: cosa si può fare, oltre alla presenza militare, per rendere definitiva questa normalizzazione della vita di quel popolo compatibilmente con le sue risorse, la sua storia e cultura?

    “Il lavoro sinora svolto in Afghanistan dalle nostre Brigate e, più in generale, dalle forze di ISAF è veramente notevole e i risultati sono sicuramente ragguardevoli. La strada da percorrere è ancora lunga e difficile, ma ritengo che sia ottima per conseguire il risultato finale che la comunità internazionale si è posto: uno Stato afgano autonomo e stabile, in grado di autogestirsi in tutti i settori. Tutte le attività militari, civili-militari e civili si stanno sviluppando nel massimo rispetto delle prerogative tradizionali, religiose e culturali del popolo afgano, pur non perdendo di vista però quei criteri di base di democrazia, di rispetto dei diritti umani e di civile convivenza che ogni missione internazionale deve tutelare e, ove necessario, insegnare e far applicare. L’attuale piano della Comunità internazionale prevede che si realizzino progressivamente le locali strutture di governo, di amministrazione e di sicurezza, supportandole nel loro operato sino al conseguimento di un’adeguata capacità di agire in autonomia. Ritengo pertanto che tale via intrapresa, che presuppone anche un sempre maggior impegno della componente civile internazionale, sia adeguata per raggiungere lo scopo prefissato”.

    Nelle missioni all’estero dei nostri alpini e militari italiani in genere, il fattore vincente, più che la tecnologia, sembra essere il valore-uomo. Come lo spiega?

    “Le missioni come quella afgana dimostrano che, pur in un quadro di alta sofisticazione tecnologica, il vero successo delle operazioni può considerarsi conseguito quando la popolazione può godere di una situazione di sicurezza reale, tangibile e concreta. Ma tale senso di concretezza, al contadino che vuole tornare ai propri campi e al bimbo che deve tornare a scuola, difficilmente può essere garantito da un aereo in volo o dal controllo di un satellite. È molto diverso se al contadino e al bimbo si può garantire il sorriso di un soldato. E questo convincimento è il frutto della mia esperienza diretta e di quella dei magnifici alpini della mia amata Julia!”.