Il cappello negato

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    L’Alpino di agosto/settembre (pagg. 4-5) riporta più volte l’importanza del cappello alpino consegnatoci durante il servizio militare. Mi commuovo nel leggere: “Lacrime sul cappello rubato” di Baggio, da Treviso, così come è chiara, e un po’ severa la risposta data a Pezzolato, di Avigliana, che rivendica il diritto di portare il cappello alpino, negato, nonostante la sua passione. 

    Questo è successo anche a mio figlio, alpino il padre, alpino chi scrive, mio figlio Giacomo fanteria! Arrivo al punto; il mio cappello l’ho perso il 9 settembre del 1943 sul greto del fiume Isarco, a Bressanone. Ancora adesso, dopo 68 anni, rimpiango questo fatto e a tutte le Adunate nazionali a cui ho partecipato sono sempre andato senza il mio cappello. Nonostante ciò, nel mio cuore rimarrà orgoglio e ambizione per l’appartenenza a quel Corpo.

    Gen. Battista Beschin – Arzignano (VI)

    Nutro tanta simpatia per chi ha un cuore alpino, ma non toccatemi i miti. Quello del nostro simbolo ce l’ho in testa e abbiate pazienza se non sono morbido con chi, con un costante lavorio ai fianchi, tenta di far passare l’idea che in fondo il cappello se lo merita chi, per motivi sicuramente nobili, sente il desiderio di portarlo. Nella lettera di Battista si coglie il toccante rammarico di averlo perso nelle acque dell’Isarco. Non spende una parola sulle tribolazioni di una guerra lunga e lacerante. Per chissà quali emozioni non arriva a portarlo nemmeno nelle Adunate nazionali. Questo spiega, e vi assicuro che non è un’autodifesa, la severità con cui rispondo a chi scrive che, lui, il cappello lo porta in barba a tutto e a tutti. No, non ci siamo. Si può discutere di cambiamenti, di futuro associativo, di copricapi, ma sul cappello alpino c’è una regola: solo l’Esercito ha facoltà di darlo, non le bancarelle. Gli amici, quelli veri, non ce l’hanno mai chiesto, perché hanno lo stesso nostro rispetto verso un simbolo che per noi riveste il segno della sacralità.