I lavori sul lungo Talvera

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    Sul numero de L’Alpino di aprile i racconti su fatti approssimativi come quello dei lavori bellissimi effettuati da 2° Reggimento Genio di stanza a Bolzano sul Lungo Talvera, possono urtare la sensibilità di quanti vi hanno partecipato in prima persona e non appartengono all’Arma che ne vanta, impropriamente, la paternità.

    Purtroppo queste “dimenticanze” storiche colpiscono spesso Armi, come il Genio e le Trasmissioni, che quando inquadrate in Grandi Unità alpine, ne sentono pienamente l’orgoglio, ma non vogliono rinunciare all’appartenenza di origine. Queste considerazioni mi scaturiscono da una vita passata con il cappello alpino avendo militato in tutte le Brigate Alpine e comandate due (Orobica e Tridentina). Nessuna polemica, ma invoco più attenzione nel ripercorrere la storia dei fatti che hanno coinvolto le nostre unità. Mi faresti, ci faresti (la lettera è indirizzata al presidente Perona), cosa gradita se tu trovassi modo di far conoscere che quei lavori furono effettuati dalle unità del Genio del 4° Corpo d’Armata alpino di stanza a Bolzano.

    Gen. C.A. Maurizio Cicolin

    L’Alpino n. 4 di aprile, pag. 40, secondo capoverso, scrive: “Di qui l’intervento del Comando dell’allora IV Corpo d’Armata Alpino. Furono impiegati dapprima gli alpini del 2° reggimento genio, poi un po’ tutti i reparti del genio che inviarono i mezzi meccanici necessari a quest’opera imponente. Il Talvera divenne un cantiere a cielo aperto per lunghi mesi: vi lavorarono centinaia di genieri e di alpini, dall’ottobre del 1970 al giugno dell’anno successivo, mesi invernali compresi”. Mi scuserà il signor generale, innanzi tutto di aver “mutilato” la sua garbata lettera, poi di non riuscire a vedere la “dimenticanza” storica in una notizia che, nell’economia di poco più di mezza pagina, foto comprese, riferisce sui lavori del Talvera.

    Meno ancora avverto che siano state “colpite” dalla nostra “approssimazione” Armi come il Genio e le Trasmissioni. Sarà che da vecchio artigliere mi trovo talmente bene nella famiglia alpina che l’orgoglio delle mostrine nere lo avverto solo negli sfottò tra “panse longhe e cunici”. Per me conta il cappello alpino e lo spirito che anima tutti quelli che lo portano. Anche, e soprattutto, quando fanno qualcosa di buono.