Franco Lorenzi e il suo museo unico al mondo

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    Collezionismo, che passione. Ce n’è per tutti i gusti, ma Franco Lorenzi ne ha trovato uno davvero particolare: colleziona da oltre sessant’anni rasoi e lame da barba e baffi. E quando, intorno al 1996, ha capito che gli serviva spazio per contenere le migliaia di pezzi raccolti ha allestito un vero e proprio museo nell’edificio che ospita il suo storico negozio in via Montenapoleone 9, a Milano. Quella dei Lorenzi è una dinastia che risale al ’500, originaria della val Rendena, in quel “Paese tra i mondi” che era considerato il Sudtirolo.

     

    Durante la Grande Guerra il padre di Lorenzi, Giovanni, venne arruolato assieme al fratello Olimpio nell’esercito austriaco ed entrambi furono inviati come Alpenjäger in Galizia, a combattere per l’imperatore. La storia renderà giustizia dell’italianità della famiglia, perché il fratello minore, Battista, che nel 1914 aveva appena otto anni, riceverà la cartolina d’arruolamento dall’esercito italiano e diventerà il primo alpino della casata. Sarà Giovanni ad aprire il negozio in via Montenapoleone alla fine della seconda guerra, aiutato dal figlio Franco che potrà alimentare la sua passione di collezionista.

    Dire rasoi è riduttivo, perché negli attuali 4070 pezzi raccolti c’è molto di più. Intanto la collezione ha reperti antichissimi, lame di selce e di ossidiana usate per frecce e coltelli che sono testimonianze della preistoria, reperti egizi che risalgono al 4.000 a.C., raffinati rasoi inglesi di Sheffield e il primo rasoio di sicurezza brevettato negli Stati Uniti nel 1880, fino ai moderni “usa e getta”. Dimostrazione, questi ultimi, della fretta dell’uomo che non ha più il culto del radersi ogni mattina come l’aveva, per esempio, Gabriele D’Annunzio, che usava un ricercatissimo rasoio del 1929 a cinque lame, finemente cesellato, contenuto in un astuccio altrettanto istoriato in perfetto stile Liberty.

    Ovviamente, intorno a questo universo proveniente da cinque continenti, c’è tanto altro. Per esempio un esercito di affilalame, macchinette di precisione – che sono spesso un sofisticato capolavoro di ingegneria – e tutto quanto concerne il rito della rasatura e della cura dei baffi. E poi accessori, prototipi, disegni di progetti che forniscono una particolare chiave di lettura delle abitudini dell’uomo lungo il corso dei secoli, della loro fantasia, del loro lavoro e della loro stessa condizione sociale. Così, fra la cura del suo negozio e una cantata, Lorenzi ha modo di incrementare la sua raccolta che è costantemente incompiuta.

    Abbiamo detto cantata? Sì, perché Lorenzi canta nel Coro della sezione di Milano, come “basso”, da quasi sessant’anni. E non lo disturba essere il più vecchio del coro al quale dà una nota di folclore con la sua barba folta e lunga, una sorta di controsenso che rispecchia la sua personalità rivoluzionaria. Ovviamente, il canto è la seconda passione di questo che resta soprattutto un alpino, dal tono imperioso e i tratti decisi da buon caporale maggiore istruttore, come se fosse ancora negli anni 1953/’54 a Merano, con le reclute.

    S’infiamma quando parla delle 57 medaglie delle altrettante Adunate alle quali ha partecipato, delle centinaia di concerti eseguiti, della storia del coro in cinque volumi che conserva con scrupolo, dei libri che ha scritto sulle lame e i coltelli. Un alpino eclettico, dunque, e una collezione unica al mondo fortunatamente aperta a tutti, gratuitamente. Forse è per questo che non è molto conosciuta, soprattutto dalle cosiddette autorità preposte alla cura della tradizione. Dovresti far pagare il biglietto d’ingresso, caro Lorenzi, allora sì che arriverebbero i visitatori!