Che emozione portare il fuoco di Olimpia!

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    di Dino Bridda

    Niente vento e sole splendente capitano di rado nel rigido inverno che attanaglia Longarone, ma per questo 21 gennaio il tempo è davvero benigno e ci dona un pomeriggio da incorniciare, nella mente come nel cuore. La nostra breve avventura olimpica comincia sotto i migliori auspici. Vista dall'alto la scena è alquanto suggestiva: un serpentone di quattrocento alpini, da Longarone alle porte del territorio comunale di Belluno, in un nugolo compatto e ordinato di tute bianche e penne nere, per rispondere con entusiasmo all'appello del comitato organizzatore di Torino.

    Le operazioni preliminari (istruzioni per l'uso, vestizione della tuta, trasporto sul luogo di partenza e inquadramento al via) si svolgono con qualche inevitabile sbavatura, ma poi siamo tutti pronti e comincia l'attesa, allietata dalla fanfara alpina di Borsoi d'Alpago. Mentre aspettiamo l'arrivo della fiaccola, che ci sarà consegnata dai superstiti del disastro del Vajont, per alcuni fra i più anziani di noi i ricordi vanno al 1956 quando vissero la medesima emozione.

    A Longarone, prima di partire, uno di loro ce l'aveva mostrata la fiaccola di allora tanto che, al confronto, quella di Pininfarina ci sembra ora un oggetto avveniristico: mezzo secolo di distanza pare un'eternità! Quando arriva la fiaccola, il primo plotone di alpini con noi c'è anche una presenza eccezionale: quella del presidente Corrado Perona si mette in movimento a file di tre, quasi una sorta di mini sfilata all'adunata nazionale.

    Man mano che la fiaccola si avvicina a noi, sale la tensione, capisci che sei protagonista di un evento carico di significati, sai che il gesto che stai per compiere è stato e sarà ripetuto migliaia di volte, ma quando tocca a te null'altro importa: in quel momento sei tu il tedoforo, sei tu che tieni in mano il fuoco acceso ad Olimpia, lo devi fare con la mente e il cuore sgombri delle miserie quotidiane, sai che lo spirito olimpico è purezza di ideali. E ti rendi subito conto che quello spirito assomiglia molto allo spirito alpino, perciò il gesto del portare la fiaccola ti sembra familiare, anche se è un’emozione unica e irripetibile.

    Il tempo concessoti è brevissimo, quanto basta per assaporare la gioia di stringere nella mano quel simbolo di fratellanza fra i popoli e di sana competizione, poi passi la fiaccola all'alpino alla tua sinistra e continui a marciare e correre per un altro chilometro, in una continua staffetta gratificata anche dagli applausi della gente accorsa sui bordi della strada. Ci scappa pure un ‘Bravi, alpini!’, siamo abituati a sentircelo dire, però oggi ci fa ancora più piacere.

    Poi, per te, l'avventura finisce. Ma, sarà vero?No, la nostra avventura finisce a tarda sera con l'alpino Oscar De Pellegrin (del gruppo Cavarzano Oltrardo, pluridecorato alle Paralimpiadi), che accende il tripode nella piazza di Belluno: nel suo gesto è il nostro orgoglio e nella mente ci scappa un ‘C'ero anch'io’ tutt'altro che da presuntuosi. Poi comincia la festa popolare in piazza, con tante tute bianche e penne nere ad assicurare il servizio e marcare il successo di una manifestazione per la cui riuscita è stato sconfitto qualsiasi scetticismo. Le penne nere di Belluno, che hanno condiviso con quelle di Feltre, Cadore, Vittorio Veneto, Valdobbiadene e Conegliano l’avventura dei tedofori della fiaccola (uniche sezioni Ana d’Italia ad avere tale o­nore), hanno già vinto la loro medaglia olimpica: quella dell’impegno e della buona organizzazione.